L’Italia accerchiata dagli speculatori rischia la bancarotta. Dice Silvio: “Pensiamo ai nostri figli”...Marina, Piersilvio...Barbara...
Creato il 12 luglio 2011 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
Non ci sono santi che tengano, l’Italia è sotto un attacco economico che se volessimo definire in altro modo potremmo definire atomico senza necessariamente rincorrere la rima. Anche ieri la Borsa di Milano ha perso un 4 per cento netto, stamattina, già in apertura, ha fatto segnare un meno 1,9 da incubo. Dato a 300 lo spread (o scarto o margine) fra i Bund tedeschi e i Buoni del Tesoro italiani (da oggi ci sono Btp all’asta per 6,75 miliardi di euro), siamo arrivati a 347 (dato delle 10 e 30), che indica un superamento della soglia di sicurezza da allarme rossissimo. Tradotto in soldoni, perché agli italiani interessa questo, allo stato attuale l’attacco della “speculazione internazionale”nei confronti dell’Italia significa che ci saranno maggiori oneri governativi per dieci miliardi di euro l’anno (una sorta di manovra economica preventiva eterna) e che le banche avranno un meno 20-25 per cento di utili che caricheranno su aziende, correntisti e risparmiatori. La borsa, in tre giorni, si è fottuta 16 miliardi di euro, quelli che aveva guadagnato in due anni. Questa è la situazione oggi, prima mattina del 12 luglio. A chiusura le cose andranno sicuramente peggio per una sola ragione: tutti “vendono” Italia, nessuno la “acquista”. Un vecchio operatore di Borsa sentito da Repubblica ha dichiarato: “Una sberla così ci rovina l'annata, ma non solo, si rischia un ballo di San Vito tipo quello del 2009, quando l'indice Ftse Mib da 20mila scese a 12mila in breve. Qui non esistono più i compratori, e non si vede chi abbia ricette per cambiare le cose”. La chiave di tutto è in una parola, “compratori”. Non ce sono più anzi, quei pochi che restano stanno aspettando il ribasso migliore per rastrellare a poco prezzo titoli e azioni e specularci quando l’aria sarà più leggera. Non comperare significa non avere fiducia in un prodotto, e nel prodotto Italia non ha più fiducia nessuno. Non serve un grande genio della finanza per comprendere i meccanismi della Borsa né tantomeno che quegli stessi meccanismi si rivelano sensibilissimi a tutto quello che accade in un paese, dallo tsunami giapponese alla chiusura del News of the World, dalla decisione di chiudere le centrali nucleari tedesche fino ai morti in Afghanistan. Perfino la vittoria ai campionati del mondo di calcio provoca rialzi e ribassi borsistici, figuriamoci gli scandali di un paese che naviga a vista e solo per gli interessi di uno. Se qualcuno pensa che chi gioca in borsa non tenga sempre le antenne accese su quello che succede nel mondo, si troverebbe di fronte a un pessimo operatore che non avrebbe capito nulla di come funziona il mercato. Siccome questo non accade, ciò che stasuccedendo nei confronti dell’Italia è una crisi di fiducia totale e planetaria che le agenzie di rating, soprattutto Moody’s e Standard & Poor’s, certificano ormai da due anni e in modo lieve per non trattarci alla stessa stregua della Grecia e del Portogallo. E la Consob del pidiellino di ferro Giuseppe Vegas che fa? Invece di interrogarsi sul perché gli speculatori internazionali ci stiano saltando addosso, convoca Moody’s e Standard & Poor’s per fargli un cazziatone epocale, la solita storia di chi non guarda la luna ma il dito che la indica. E gli italiani sono stati abituati dal governo delle mezzeseghe proprio a guardare il dito, perché se poco poco guardassero la luna potrebbero vedere tagli e tasse, nessun investimento nella crescita e nella ricerca, privilegi a iosa per la casta, corruzioni, evasioni fiscali, scorciatoie per accumulare denaro sempre sotto l’ombrello della politica, sprechi per grandi opere inutili, consumi a picco, fughe di imprenditori e capitali all’estero, tangenti a ogni piè sospinto, rendite di posizione inattaccabili, cricche affaristiche e monopolistiche dannose come una grandinata ad agosto e fastidiose come le zanzare tigre e, soprattutto, uno sfoggio di lusso e di ricchezza da parte dei politici che non ha eguali nel resto del mondo tanto che qualcuno, fosse solo per soddisfare una legittima curiosità, dovrebbe chiedersi da dove cazzo prendano tutti quei soldi. La sfiducia della finanza internazionale nel nostro Paese sta tutta sulla luna che gli italiani non vogliono osservare mentre all'estero adoperano il telescopio per guardarla pure dentro i crateri. La cosa curiosa è che vadano ancora in giro attrezzi umani come i leghisti e i pidiellini di lungo e medio corso (aggiungiamo qualche dipietrista e una manciata di pidini che non guastano mai). In piena crisi di nervi economico-finanziaria, il prode Umberto Bossi alla parola “tricolore” tiene ancora dritto il dito medio come fosse l’unico organo del suo corpo ancora in grado di dare un segnale di esistenza in vita. Roberto Calderoli annuncia che da lunedì le sedi di tre ministeri si trasferiranno a Milano in barba al Parlamento, alla Presidenza della Repubblica e ai romani. Roberto Maroni fa editare dal Viminale un testo in cui la Resistenza viene ridotta a “guerra civile”. Renatino Brunetta si sposa e per regalo vuole 40 tappeti. Marco Milanese si faceva pagare “consulenze” da tutti, clochard in crisi alcolica compresi. Bisignani governava nell’ombra un paese in balia delle fisime del Dux. D’Alema non sa più cosa rispondere a chi gli chiede notizie sui finanziamenti alla sua fondazione. Di Pietro ha iniziato a dire che Berlusconi alla fine è solo un nonno. Bersani e Casini vogliono dare una mano al governo e accelerare l’iter di una indifferibile approvazione della manovra economica, e non conta una mazza che Piergigi abbia detto “Noi gli diamo una mano e il giorno dopo Berlusconi se ne va”, perché Silvio non se ne andrà mai anzi, se con l’aiuto delle opposizioni dovesse mettere una pezza alla catastrofe in atto, alla fine il merito sarebbe solo il suo che aveva previsto tutto. Dice l’imprenditore Enzo Manes: “Se l'Italia fosse un'azienda ora le servirebbe un aumento di capitale. Tradotto in termini pubblici, per me significa una legge patrimoniale, con annesse privatizzazioni e riforme per la competitività e la crescita, guardando non a chi sarà eletto tra due anni, ma come staranno i nostri figli tra 10”. Se perfino un imprenditore della trasformazione del rame pensa al futuro dei figli ci chiediamo cosa stiano facendo i politici per i loro. Però, alla fine, siamo convinti che ci stanno pensando. L’unica fregatura è che hanno messo in piedi una specie di criterio di selezione. I pargoli dovrebbero chiamarsi Marina, Piersilvio, Barbara, Eleonora e Luigi, anche se a loro papi ha già pensato.
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