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Al via oggi una trilogia di “post” sull’Italia di ieri, quella di oggi e quella -speriamo- di domani.”Post” che prendono spunto dall’attualità. Attualità che dipinge un Paese nel guado. Tra un passato che non muore, un presente di transizione… e un futuro -speriamo- finalmente diverso.
L’Italia di ieri:
-Italia dei “figli di”: esemplare l’articolo di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera di giovedì. Nel quale condisce con una serie infinita di “… e chissenefrega!” la vicenda di tale Fausto Di Mezza, 40 anni, candidato alla dirigenza di A2A, azienda multiservizi lombarda. Azienda pubblica: un colosso con un fatturato da sei miliardi.
Di Mezza, candidato alla vicepresidenza su indicazione bresciana, nel curriculum si presenta così: “figlio dell’avvocato Amilcare Di Mezza, professionista e imprenditore bresciano, e di Gnutti Giuliana, figlia di Cesarino Gnutti, capostipite della notissima famiglia di imprenditori della Valle Trompia”. Prima ancora di Stella era stato il quotidiano online “L’Inkiesta” a scandalizzarsi. Affermando, testualmente: “non è uno scherzo. L’avvocato Di Mezza si candida in quanto figlio di e nipote di“. Ad aggiungere danno alla beffa del perfetto cliché dell’”autoraccomandato”, come analizza molto bene Stella nel resto dell’articolo, c’è la lunghissima lista di incarichi politici in Forza Italia e Pdl, manco fossero degli attestati di buona capacità di amministrazione aziendale. In un sol colpo (o in un sol curriculum) appartenenza famigliare e appartenenza politica, quali etichette di clan: questa è l’Italia che non vogliamo più vedere.
Largo all’Italia del merito e degli outsider competenti. Stop all’Italia dei vincoli di sangue e politici. Thumbs up a Stella e a L’Inkiesta per aver smascherato l’ennesimo caso di Italia del passato (sempre pronta a farsi presente). Name and shame!
-via Facebook mi viene segnalata la seguente inserzione di lavoro: “Ricerchiamo studente o laureato in materie informatiche per stage della durata indicativa di un mese. Obiettivo: la creazione di un’applicazione in linguaggio Java. Possibilità di svolgere l’attività a domicilio, con presenza in azienda 1 giorno la settimana. Si richiedono buone doti organizzative e spirito di iniziativa“. Commento di Simone, che mi ha segnalato l’inserzione: “Ormai non c’è più limite all’indecenza. Questo si chiama sfruttamento del lavoro. Lo attua l’azienda XYZ, attraverso il sito Progetto Giovani del Comune di Padova“. Mi rivolgo direttamente al Progetto Giovani del Comune di Padova: ma secondo voi può mai esistere uno stage in cui il laureato va in azienda un giorno la settimana? In cui lo stage dura un mese? In cui anziché imparare a fare il lavoro, lo stagista deve creare in autonomia qualcosa a favore dell’azienda? Non è forse lavoro mascherato…? Ma chi controlla le inserzioni che pubblicate?
Domani la seconda puntata: l’Italia di oggi.
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