Sono numeri che rendono il nostro Paese di gran lunga il principale fornitore di armi allo Stato israeliano in tutta l’Unione Europea. Facciamo il doppio rispetto a Francia, Germania e Regno Unito. Si tratta di cifre ancor più sconcertanti se considerate in percentuali: il 41% delle forniture di armamenti viene dall’Italia.
Sono questi i dati resi noti dall’Opal (Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa), che già ad inizio anno aveva denunciato il record, tutto italiano, nell’export di armi in Medio Oriente e in Africa. Oltre il 90% delle armi in questione proviene dal distretto armiero di Brescia e Val Trompia.
Ma come si è arrivati a tutto questo?
Fu il governo Berlusconi, nel 2005, a ratificare un “Accordo generale di cooperazione tra Italia e Israele nel settore militare e della difesa”. Nel 2012 Monti continuò le trattative, stipulando un nuovo accordo avente ad oggetto la fornitura ad Israele di velivoli per l’addestramento al volo e dei relativi sistemi operativi di controllo del volo, mentre all’Italia veniva fornito un sistema satellitare ottico ad alta risoluzione per l’osservazione della Terra. Un percorso dunque che ha legato con un doppio filo l’industria della difesa italiana e quella israeliana.
La questione assume rilevanza capitale se consideriamo che stiamo parlando di un Paese in guerra. Solo pochi giorni fa il gruppo italiano Alenia-Aermacchi (gruppo Finmeccanica) a fornito a Tel Aviv due M-346.
Emerge, volendo portare la questione alle sue estreme conseguenze, che l’Italia è il primo aiuto di Israele nella lotta contro i Palestinesi. Vendiamo sistemi d’armi ad una delle parti in conflitto, il che ci rende automaticamente dei mediatori poco convincenti e non equidistanti dalle parti in gioco.
Il coordinatore nazionale della Rete Italiana Disarmo, Francesco Vignarca, ha aggiunto inoltre, analizzando la situazione su “Il Fatto Quotidiano”, che non è solo Israele che ha beneficiato di tali aiuti: “Abbiamo venduto anche molte armi leggere ai paesi dell’area mediorientale. Nel caso della Siria, come abbiamo denunciato mesi fa, sappiamo che molte di queste armi sono confluite all’interno del paese”.
E aggiunge: ”Lo stesso possiamo pensarlo per la Palestina. Non abbiamo prove in questo momento, ma in passato le abbiamo avute: le armi leggere hanno una circolazione carsica, sono molto meno controllabili. E finiscono dove c’è richiesta. Come in Iraq, quando i terroristi sparavano contro i nostri carabinieri con delle beretta”.
Di fronte a questi dati e ai gravi fatti dell’ultima settimana Rete Disarmo ha richiesto l’embargo e la sospensione delle forniture da parte di tutta l’Europa. E chi meglio del governo italiano, a questo punto, potrebbe fare un pubblico passo indietro sulla questione. Approfittando della posizione di Presidenza del Consiglio d’Europa, Matteo Renzi potrebbe coinvolgere altri Stati, affinché assumano il medesimo impegno.
Un gesto dovuto quando si parla della vita di migliaia di civili inermi.