Gli italiani e l'inquinamento? Preoccupati sicuramente lo siamo, ma anche consapevoli che i nostri comportamenti a casa e davanti agli scaffali dei negozi influenzano il contributo per la tutela dell'ambiente. E' quanto emerge da un'indagine globale svolta dall'istituto Nielsen agli inizi del 2011, che ha evidenziato come i consumatori italiani chiedano garanzie che i prodotti acquistati siano a basso impatto ambientale e sociale, e come le imprese si stiano sforzando sempre più di aderire a questa esigenza. Almeno in apparenza.
Nello specifico, le maggiori preoccupazioni degli italiani in tema ambientale riguardano la condizione che ognuno di noi vive in prima persona: l'inquinamento dell'aria, quello dell'acqua, l'uso di pesticidi, il surriscaldamento del globo e la carenza idrica. Un altro timore è poi quello delle conseguenze della condotta delle aziende rispetto all'ambiente. Plaudono quindi alle iniziative promosse dalle aziende con un impatto positivo sull'ambiente, come i prodotti in packaging riciclabili, quelli ad efficienza energetica, quelli biologici. Apprezzamento anche per i prodotti non testati sugli animali e per quelli del commercio equo e solidale. Un'area grigia emerge però quando si chiede di metter mano al portafoglio: meno di un connazionale su quattro, infatti, è disposto a spendere di più pur di comprare prodotti ecosostenibili.
Il Rapporto Ambiente Italia 2011 di Legambiente, dal suo canto, dimostra che a fronte di una buona consapevolezza ambientale sono ancora molti i comportamenti che finiscono per determinare il degrado del territorio. Degrado dovuto in larga misura, oltre agli effetti dei cambiamenti climatici, all'avanzata dell'asfalto che diminuisce la capacità del terreno di catturare l'acqua. Il consumo di suolo nel nostro Paese, dalla fotografia che ne esce, è allarmante.
Si legge nella ricerca che in Italia vengono consumati mediamente oltre 500 chilometri quadrati di territorio all'anno. E' come se ogni quattro mesi spuntasse una città uguale all'area del comune di Milano. Sommando quanto è stato finora coperto da cemento e asfalto si arriva a un numero impressionante: 2.350.000 ettari. E' una superficie equivalente a quella di Puglia e Molise messe assieme, cioè il 7,6% del territorio nazionale, quasi 400 metri quadrati di asfalto per ogni italiano.
Tale pressione si è andata intensificando negli ultimi 15 anni, con una urbanizzazione selvaggia senza freni. Anche in questo caso, prima che cittadini ed imprese, è la stessa politica a "remare contro". Se si pensa a quanto stabilito nell'ultimo decreto Milleproroghe il quadro è penoso: per i prossimi due anni i Comuni potranno adoperare il 75% degli oneri di urbanizzazione per le spese correnti, vale a dire potranno rilasciare permessi a edificare anche dove non sarebbero necessarie nuove costruzioni, così da riuscire a far fronte agli stipendi dei dipendenti e forse pure alle varie spesucce superflue per l'autosostentamento della "casta".
E verranno su case che il più delle vuote sono destinate a rimanere vuote. Proprio nelle metropoli dove, ad esempio, l'emergenza sfratti è oltremodo pesante e la crisi economica non consente di accedervi (acquistarle) a chi aspirerebbe ad occuparle. In Italia, insomma, non si punta sul recupero dell'esistente ma sulla creazione di nuove aree, non si costruisce per dare abitazioni a chi ne ha bisogno ma "per soddisfare la speculazione immobiliare e finanziaria". Come dimostrano gli episodi di cronaca riguardanti le "cricche" che continuano a spuntare come funghi.
Per rendere più completo e chiaro il quadro sul rapporto che lega gli italiani (intesi come "sistema Italia") all'ambiente, è altresì utile esaminare i dati dell'ultimo Annuario dell'Istituto superiore di protezione e ricerca ambientale (Ispra). Si nota che mentre calano le emissioni di gas serra (una delle poche conseguenze positive della crisi finanziaria ancora in corso), la qualità dell'aria è peggiorata, così come il rischio idrogeologico. La pubblicazione, in estrema sintesi, offre una panoramica dello stato di salute dell'ambiente nel nostro Paese, fornendo dati su cambiamenti climatici, dissesto idrogeologico, eventi calamitosi, biodiversità, qualità dell'aria e delle acque, agenti fisici, ambiente e salute.
Nell'ultimo decennio, per citare solo una statistica, sono state emesse meno sostanze acidificanti nell'atmosfera ma l'inquinamento continua a preoccupare. La nostra salute rimane comunque esposta agli agenti nocivi esterni e le stazioni di monitoraggio hanno evidenziato solo nel 2009/2010 il netto superamento del valore limite giornaliero di polveri sottili, specialmente nelle grandi città della pianura padana. Gli obiettivi del "Protocollo di Kyoto", dunque, per quel che ci riguarda sono ancora lontani.
In conclusione si può affermare che la società civile, soprattutto quella più organizzata e avvezza ad esplorare le opportunità offerte dall'impegno "in rete", è certamente più consapevole e responsabile in materia ambientale, pronta a mobilitarsi quando avverte come prossimo o imminente un rischio per la propria salute (l'esito del recente Referendum sul nucleare lo conferma). Ma nello stesso tempo, cresce il deficit a livello normativo e istituzionale, proprio come nel caso delle delicate materie del lavoro e del welfare.
Carenza che determina una forte ed evidente contraddizione fra gli obiettivi dichiarati e le misure attuate a livello politico. Con la conseguente speculazione, più o meno palese, di larghi settori del settore produttivo che privilegiano il profitto a danno della sostenibilità. E che non di rado si lasciano condizionare da un altro tipo di inquinamento: le infiltrazioni della criminalità organizzata monitorate anche quest'anno nel Rapporto "Ecomafia 2011" dell'Osservatorio Ambiente e Legalità.