Sta andando su e giù per lo stivale a raccontare a tutti quanto il popolo italiano sia ignorante. Non è un insulto o un’illazione gratuita. Lo scrittore e giornalista romano Roberto Ippolito parla con cognizione di causa. Con dati alla mano. E la realtà che ci mostra è peggiore di qualsiasi più lontana immaginazione. Nessuno potrebbe pensare, infatti, che in Italia, uno dei Paesi più industrializzati al mondo, 2 persone su 4 abbiamo soltanto la licenza media. Eppure è così. Nessuno riuscirebbe a figurarsi l’Italia a condividere l’ultimo posto in Europa con la Romania per numero di laureati. L’Italia è un Paese di ignoranti, nel senso letterale del termine. E la preoccupazione cresce in maniera inversamente proporzionale alle inesistenti politiche di sostegno alla cultura, all’istruzione, alla formazione. Perché un Paese che non sa – da Nord a Sud, le lacune sono equamente distribuite - non ha gli strumenti e le competenze per uscire fuori dalla crisi economica più nera della sua storia, dopo la guerra. Un grido d’allarme composto e intelligente che deve farci riflettere.
Come è nata l’idea di un libro sull’ignoranza degli italiani?
L’idea di Ignoranti ha cominciato a muovere i primi passi grazie ad alcuni dati negativi notati nelle periodiche diffusioni di statistiche e dei quali nessuno parlava. Innanzitutto la dispersione scolastica: troppi ragazzi abbandonano precocemente gli studi. Poi mi ha colpito il basso numero di laureati. Ma non sapevo ancora che avrei scoperto il record negativo europeo. E stavo osservando il calo della lettura che avveniva nel silenzio generale. Insomma a poco a poco ho cominciato a rendermi conto che tutta la società italiana, grandi e piccoli, ha gravi problemi con il sapere. E contemporaneamente l’economia arretra. E così… ecco non solo il titolo del libro, ma è venuto fuori, triste e inevitabile, il sottotitolo “L’Italia che non sa. L’Italia che non va”.
Durante la stesura e il confronto dei dati e delle statistiche, ha avuto momenti di sconforto nel toccare con mano una situazione così desolante?
Cercavo, cercavo e trovavo solo dati negativi, impressionanti. Trovavo dati negativi e constatavo il disinteresse generale. Lo sconforto si moltiplicava: come è possibile che l’Italia è in coda in tutte le classifiche internazionali per l’istruzione e le competenze e non c’è traccia di reazione adeguata? Tante volte, lo ammetto, ho riso. È accaduto quando mi sono imbattuto negli incredibili strafalcioni che ho raccontato. Come si fa a non ridere di chi ha concepito le domande per il concorso per preside? Una su cinque è sbagliata. E come si fa a non ridere di quel laureato candidato a un altro concorso che, pur non detestando l’olio, parla di “burrocrazia”? Così ha preso corpo il libro, un libro tragicomico. Ma quanto sbigottimento dietro gli esilaranti strafalcioni!
Qual è il dato che l’ha sconvolta di più in assoluto?
E come posso sceglierne uno solo? Come potrei dire che il dato per me più sorprendente è il calo sistematico dal 2003 in poi delle immatricolazioni all’università? E come potrei trascurare il fatto che solo il 3,4% degli edifici scolastici italiani ha una dichiarazione di conformità alle norme antisismiche? E che dire del 39% di italiani, veri neoanalfabeti ai tempi di internet, che in un anno non tocca il computer? E… e… quanti altri numeri inquietanti potrei aggiungere, purtroppo, anche se questo “non è il paese del Bentegodi”, stando a quanto sostenuto da un consigliere comunale di Trento confondendo lo stadio di Veroni con il paese immaginario di Boccaccio.
Finlandia a Corea del Sud sono i Paesi con i sistemi scolastici migliori al mondo: quale lezione potremmo imparare da loro in Italia?
La classifica che assegna il primato alla Finlandia e alla Corea può certamente essere discussa come tutte le classifiche con un margine di discrezionalità. Ma è assolutamente rilevante la spiegazione del loro risultato. Questi due paesi sono considerati i migliori, pur avendo sistemi di istruzione profondamente diversi, grazie al fatto che gli insegnanti hanno un riconoscimento pubblico per il ruolo ricoperto. Sono un punto di riferimento. E c’è grande attenzione per la selezione e l’aggiornamento. In Italia, invece, in tre anni ne sono stati tagliati 87mila. Ma qualcosa di super c’è: per esempio un preside che nel Bresciano dirige da solo 18 scuole fra materne, elementari e medie. E non è l’unico superpreside.
Al festival internazionale del Giornalismo di Perugia, lei ha affermato che, nonostante la situazione disastrata, paradossalmente tutti rivendicano l’ignoranza. Ci può spiegare meglio quest’affermazione?
L’ignoranza è diventata addirittura un vanto. L’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi non arrossì dicendo di non leggere da venti anni un romanzo pur essendo il padrone della maggiore casa editrice italiana, la Mondadori. Un manager di successo come Flavio Briatore ha fatto presente di non essersi mai svegliato rammaricato per non aver letto un libro. Rosy Mauro, da poco ex presidente del Senato, ha garantito di non essere mai stata sfiorata dall’idea di laurearsi. Sono casi limite? Sono casi di successo. O no?
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