Dubito che sia stato un fulmine a ciel sereno per il perenne nipotino, di sangue e di elezione. E’ probabile che, nell’aiutarlo a rialzarsi dalla posizione ginocchioni, o mentre gli rimetteva in testa il cappelluccio che aveva rispettosamente tenuto tra le mani, Obama gli abbia annunciato che era l’ultima volta che l’aveva fatto entrare dalla porta, sia pure dei postulanti, che adesso, con l’espulsione dal G8 l’Italia non potrà nemmeno aspirare a bussare all’ingresso riservato ai venditori di spazzole, quelli che per farsi ascoltare devono infilare lo scopettone tra i battenti.
Non hanno nemmeno uno scopettone, quelli che fanno professione di ubbidienza sconsiderata, che scelgono la strada dell’umiltà, dell’assoggettamento, succede così a chi subisce invece di rivendicare pretese legittime, a chi non potendo competere con i grandi se ne fa schiavo, dimostrando l’inadeguatezza a fare forma a un pensiero indipendente, la rinuncia a una politica autonoma, la defezione dall’autodeterminazione e al tempo stesso l’indifferenza per la propria sovranità, per i diritti dei suoi cittadini, per il loro destino e il loro futuro.
L’Italia, superata nel Pil anche dalla Russia, scivola al nono posto per Prodotto interno lordo (Pil), sarà quindi “partecipe” del G8 per lignaggio politico ma “fuori” per dimensioni del fatturato, peso economico e capacità di proiettarlo nel mondo. La condanna vera è venuta dal grande burattinaio del G8, quel Fondo Monetario che ne ha decretato la retrocessione, motivandola con una condanna che non sfugge nemmeno a noi mortali: l’Italia è un cadavere perché non circola più il sangue dell’economia, dello sviluppo, della produttività e della competitività nelle sue vene.
Poco vale obiettare che sono incomprensibili e irragionevoli i criteri, tutti arbitrari, tutti discrezionali, tutti occidentale per i quali l’appartenenza al “casin dei nobili” si sarebbe detto in quella che un tempo era una superpotenza vera, è interdetta a una democrazia come il Brasile e ma include Paesi più piccoli, solo perché sono di sviluppo più antico.
Ma le premesse c’erano tutte: un Paese ossessionato dalla governabilità, ma pronto a rinunciare al governo delle sue complessità, in nome del compromesso, fissato su una sedicente stabilità, delicato eufemismo per designare una inarrestabile recessione anche sociale oltre che un ripiegamento decisionale; una nazione esplicitamente indifferente alla valorizzazione delle sue qualità e dei suoi beni, guidata da con un ceto dirigente provinciale, attento solo a guadagnarsi l’accondiscendente benevolenza dei grandi, a costo di affamare il popolo, all’inseguimento di una sedia, magari al tavolo dei bambini, in ricordo dei passati splendori, corrotto e incapace, oltre che sordo ai bisogni della cittadinanza, tanto da non avere nemmeno il coraggio della disperazione che dimostrarono i greci con la richiesta di decidere con un referendum. Un partner europeo che non si arrende all’essere considerato propaggine di un Sud straccione, piuttosto che estremo lembo di un nord opulento, che pensa a torto di non potersi sottrarre alle regole, ai diktat e alla catena dell’Ue, dismettendo ogni ipotesi di salvezza tramite la rivendicazione dei propri bisogni a muso dure, come i debitori fanno con i cravattai, a costo di sempre più profonde disuguaglianze, della soggezione a a vincoli deformi e iniqui, oltre che oltraggiosi per i popoli.
Soffrirà il Letta, come quei cattivi allievi che fino all’ultimo hanno sperato in un miracolo, magari mandando un regalo sottobanco a professori e preside, ma che scopre la bocciatura davanti a quadri, sorpassato da Paesi più piccoli, meno popolosi, come il Canada, ma che si colloca venti posizioni sopra all’Italia per livello di livello di istruzione degli abitanti, scondo l’Ocse, sessanta sopra in quella della Banca Mondiale per “capacità di fare impresa” e sessantacinque sempre sopra in quella di Transparency International sulla percezione di corruzione.
Se ne deve fare una ragione il presidente del Consiglio tornato da Washington vantando in cambio di cieca ubbidienza, la protezione degli Usa: non possediamo più i requisiti per stare nel club. Che assomiglia sempre di più a quei circoli inglesi polverosi, alle stanze scure, ovattate e separate dal mondo che circola fuori degli Omenoni a Milano, o di qualche Rotary, visto che gli otto membri – Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Canada e Russia – non vantano più come in passato una chiara superiorità politica ed economica e che nuovi attori, alcuni dei quali più ricchi e in prospettiva più influenti, hanno fatto irruenza con prepotenza sulla scena internazionale: Cina, l’India, il Brasile, e altri ancora più “nuovi” e determinati. E se la popolazione dei membri del G8 è circa il 13% di quella mondiale, la quota di Pil mondiale coperta dai paesi del G8 è ormai sotto la soglia del 50%, cosicché In sostanza, il G8 rappresenta una minoranza in termini di risorse economiche e un colosso dai piedi di argilla in termini politici, che resiste alla riduzione di egemonia messa in atto dal G20.
Eppure se c’è un Paese emblematico e rappresentativo della “futilità” e delle condizioni di impotenza del G8 è proprio l’Italia, paese simbolo di un contesto nel quale gli Stati sopravvivono galleggiando sulla crisi, gran parte dei quali agisce a sovranità limitata, senza prospettive di medio-lungo periodo, nel quale nessun Governo sembra sapere in quale modo affrontare la cause della crisi, che appare una maledizione sorprendente caduta dal cielo, dove perfino quel che resta della sinistra attribuisce la recessione a fenomeni speculativi che ne sono al più concause, senza affrontare il nodo principale che è quello del lavoro, della contrazione dell’occupazione e quindi dei consumi, in una mutazione aberrante del capitalismo,
Eh si, nel G8 ci si sta per lignaggio, per tradizione, per memoria di grandezza, alla quale noi abbiamo ampiamente rinunciato, condannati da chi ci ha trascinato in questo baratro e cui è stata delegata una improbabile salvezza a cancellarne principi, capisaldi, ideali, quelli di una Carta che non abbiamo saputo proteggere.