Ho letto con attenzione – anche se arrivo con due giorni di ritardo – la lettera di Gabriele Muccino a Gianfranco Fini, pubblicata sul Secolo d’Italia. Si fa riferimento, ancora una volta, a un governo di salvezza nazionale “che unisca gli uomini migliori di centro, di destra e di sinistra”, senza però spiegare chi, eventualmente, debba guidare un esecutivo di così larghe intese. Forse lo stesso Fini al quale è rivolta la lettera, ma non è dato sapere con certezza. Credo che non sia questo il miglior modo per governare l’Italia, nonostante la domanda sia piuttosto inflazionata. Il nostro Paese sta patendo le lacune colmate in tanti anni di berlusconismo, è vero, ma si tratta pur sempre di un periodo storico che ha visto protagonisti tanti altri attori, molti dei quali continuano ancora oggi a dettare l’agenda. Fini compreso, il quale – piaccia oppure no – si è reso corresponsabile in passato di tante scelte scellerate. Per non parlare della sinistra, ovviamente. Non sto sostenendo che Fini non possa essere un buon premier (convengo con Muccino che “le grandi svolte, i grandi ripensamenti, sono degli uomini intelligenti e dei veri leader”, per dire), ma che unire destra, centro e sinistra nell’unica concezione che il male assoluto dell’Italia è rappresentato da Berlusconi e dalla sua politica significa non guardare al di là del proprio naso. Quanto durerebbe un governo del genere? Un annetto scarso, ad essere generosi. Quello che ci vuole non è esclusivamente un azzeramento della classe politica, ma un progetto serio dove sia chiaro chi sta con chi. Niente ammucchiate selvagge che potrebbero creare casini ben più gravi di quelli procurati finora. Un ricettacolo di idee che i cittadini saranno chiamati ad approvare attraverso il voto, ecco cosa serve per tentare di risalire la china. E dopo l’esito delle urne una maggiore responsabilità parlamentare che vada al di là della convenienza politica o delle opportunità alla bisogna. Poi, se vogliamo far passare il messaggio che l’unico problema del Paese sia Berlusconi facciamo pure, accomodiamoci. Ma sono appena 16 anni che si dice questo e le cose nel frattempo non sono cambiate. Serviva che Fini alzasse la cresta per rendersene conto?
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Ho letto con attenzione – anche se arrivo con due giorni di ritardo – la lettera di Gabriele Muccino a Gianfranco Fini, pubblicata sul Secolo d’Italia. Si fa riferimento, ancora una volta, a un governo di salvezza nazionale “che unisca gli uomini migliori di centro, di destra e di sinistra”, senza però spiegare chi, eventualmente, debba guidare un esecutivo di così larghe intese. Forse lo stesso Fini al quale è rivolta la lettera, ma non è dato sapere con certezza. Credo che non sia questo il miglior modo per governare l’Italia, nonostante la domanda sia piuttosto inflazionata. Il nostro Paese sta patendo le lacune colmate in tanti anni di berlusconismo, è vero, ma si tratta pur sempre di un periodo storico che ha visto protagonisti tanti altri attori, molti dei quali continuano ancora oggi a dettare l’agenda. Fini compreso, il quale – piaccia oppure no – si è reso corresponsabile in passato di tante scelte scellerate. Per non parlare della sinistra, ovviamente. Non sto sostenendo che Fini non possa essere un buon premier (convengo con Muccino che “le grandi svolte, i grandi ripensamenti, sono degli uomini intelligenti e dei veri leader”, per dire), ma che unire destra, centro e sinistra nell’unica concezione che il male assoluto dell’Italia è rappresentato da Berlusconi e dalla sua politica significa non guardare al di là del proprio naso. Quanto durerebbe un governo del genere? Un annetto scarso, ad essere generosi. Quello che ci vuole non è esclusivamente un azzeramento della classe politica, ma un progetto serio dove sia chiaro chi sta con chi. Niente ammucchiate selvagge che potrebbero creare casini ben più gravi di quelli procurati finora. Un ricettacolo di idee che i cittadini saranno chiamati ad approvare attraverso il voto, ecco cosa serve per tentare di risalire la china. E dopo l’esito delle urne una maggiore responsabilità parlamentare che vada al di là della convenienza politica o delle opportunità alla bisogna. Poi, se vogliamo far passare il messaggio che l’unico problema del Paese sia Berlusconi facciamo pure, accomodiamoci. Ma sono appena 16 anni che si dice questo e le cose nel frattempo non sono cambiate. Serviva che Fini alzasse la cresta per rendersene conto?
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