"Niente è possibile senza le persone, nulla è duraturo senza le istituzioni"(Jean Monnet). Mi sembra ci sia dentro la sintesi perfetta del concetto di movimento: democrazia e partecipazione. Ma senza una vera linea politica si muore. Questo vuol dire che un leader da solo non basta?
Più che a democrazia e partecipazione – che certamente facevano parte della sua filosofia – credo che Monnet con questa frase intendesse soprattutto dire che le persone, anche le più notevoli, lasciano il segno ma inevitabilmente passano, e sono quindi le istituzioni a stabilire le modalità della convivenza in maniera durevole. Io mi rifletto molto in queste parole. Il grado di civiltà di un Paese è segnato dalla visione e dal rigore della sua leadership, ma soprattutto dal rispetto e dal prestigio di cui godono nel tempo le sue istituzioni.
Dopo 36 anni nelle istituzioni, eletta più volte deputata ed europarlamentare, ha ricoperto numerosi incarichi istituzionali di carattere nazionale e internazionale. È una delle poche donne che potrebbero aspirare al Quirinale. Ma lei ci crede in un cambio generazionale?
Provengo da un partito, quello radicale, che ha sempre dato grande spazio ai giovani in posizioni dirigenziali. Penso all'età che avevano Adelaide Aglietta, Francesco Rutelli o Giovanni Negri quando sono diventati segretari del partito. Io stessa sono diventata deputato a soli 28 anni. Parlo di tempi non sospetti quindi. Ancora oggi se lei va alla sede del Partito, in Via Torre Argentina a Roma, troverà soprattutto giovani, tra cui l'attuale segretario Mario Staderini. Ma tutto ciò avveniva e avviene più in base alle capacità e al merito delle singole persone, che non all'insegna di un generico e demagogico "largo ai giovani". Detto questo, noi abbiamo sempre molto valutato anche l'esperienza, la determinazione e la continuità nell'impegno, quella che chiamo la "cocciutaggine" radicale. In altre parole, il dato anagrafico – come quello del sesso – non è mai stata una questione per noi dirimente.
È stata protagonista di numerose e fondamentali battaglie di progresso civile, ce n'è ancora qualcuna che vorrebbe combattere e vincere. Quale?
Il mondo non sarà mai perfetto, di battaglie da fare ce ne saranno sempre. A livello internazionale, con le associazioni radicali, ci stiamo ancora battendo per un'effettiva moratoria universale sulla pena di morte e per mettere fine alla disumana pratica delle mutilazioni genitali femminili. Poi c'è la battaglia in Europa, più politica che civile, quella di andare verso una sistemazione federale delle nostre istituzioni, quello che io amo chiamare gli Stati Uniti d'Europa.
Nel suo ultimo libro "I doveri delle libertà" lei sostiene che:«gli italiani si sono inventati la caricatura della libertà». Cosa intende?
Che pensiamo di vivere in un paese libero ma non è così. Nel corso dei decenni lo stato di diritto è stato svilito e calpestato al tal punto che oggi è moribondo. E, senza stato di diritto, non hai vera libertà – quella che si basa sui diritti e i doveri di ciascuno e sulla responsabilità individuale – ma solo una sua caricatura fatta di vessazioni, balzelli, clientele, nepotismi, raccomandazioni, favoritismi…Alla fine il quadro generale è quello di un'illegalità diffusa in tutti i settori della società. Il degrado è sotto gli occhi di tutti ma mi sembra che la gente si sia abituata a conviverci. Su questo punto voglio essere chiara: se da una parte è innegabile che ci siano le caste – caste al plurale, di cui quella partitocratica è forse la più dannosa ma non l'unica – non è che dall'altra parte ci sia una società cosiddetta "civile" immune da colpe e senza pecche. Purtroppo, quando lo stato di diritto muore nelle istituzioni, poi rischia di morire anche nella coscienza popolare.
Elezioni politiche 2013, cosa auspica: il dopo Monti sarà un Monti bis?
Monti bis o non Monti bis, chiunque andrà al governo non potrà prescindere dagli impegni presi in Europa a nome del Paese. Questo significa lacrime, sudore e sangue – basti pensare al pareggio di bilancio da raggiungere già l'anno prossimo – finché non ci saranno i primi segnali di crescita. Ma a sentire le dichiarazioni di alcuni leader politici non sono certa ci sia questa consapevolezza.
Fenomeno Pussy Riot come declinazione di un nuovo femminismo? E all'europarlamento c'è chi ha lanciato l'idea di insignirle con il prestigioso premio Sacharov. Cosa ne pensa?
Penso che la questione di genere non sia in cima all'agenda delle Pussy Riot, ma piuttosto la libertà di espressione e la libertà tout court in un paese che ha visto, sotto il dominio di Putin, una drammatica restrizione dei diritti umani e civili. Come radicale sarei più portata a metodi nonviolenti piuttosto che distruggere simboli religiosi con la motosega, ma il fatto rimane che le Pussy Riot sono l'ennesimo segnale di una pentola a pressione pronta ad esplodere.
Lungo tutto questo percorso di vita, si può quasi dire che la politica le ha praticamente "rubato" la vita. C'è qualcosa che cambierebbe tornando indietro?
Per natura non sono una persona che ama rimuginare sul passato e magari farsi venire qualche rimpianto. E non considero che la politica mi abbia "rubato" la vita; al contrario, per me la politica – che fosse da militante radicale, parlamentare o ministro – è stata prima di tutto una scelta e una passione, non un mestiere. In questo senso mi sento una privilegiata.
Si ricandiderà?
Questa domanda rischia di diventare il tormentone autunnale! Le rispondo nell'unica maniera oggi possibile: parlare di candidatura è una cosa del tutto teorica se non sappiamo con quale sistema elettorale e in quali condizioni.
L'ultimo film che ha visto?
"La bella addormentata" di Marco Bellocchio. Un film su di un tema molto difficile, il fine vita. Bellocchio ha avuto coraggio ad affrontarlo e secondo me – che piaccia o no – il film ha un grande merito, quello di ricordarci che, alla fine, la decisione è solo nostra.
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