Si torna a parlare di manovre “lacrime e sangue” per recuperare 30 miliardi in due anni. Ma il settore delle spese militari è cresciuto nel 2010 dell’8,4%, con una spesa addizionale di 3,4 miliardi di euro. Il conto generale sale a quota 20.556,9 milioni di euro, corrispondente all’1,283% del Pil e che colloca l’Italia all’ottavo posto al mondo per spese militari. Ringrazia l’industria bellica nazionale, che anche negli ultimi anni di crisi generale ha presentato saldi in decisa crescita. Ad esempio, nel 2009, quando l’economia ha iniziato a segnare il passo, il settore della produzione bellica ha registrato un fatturato record da 3,7 miliardi, superando perfino la Russia nella corsa agli armamenti. E non è tutto. Perché oggi si discute di cinque programmi d’acquisto relativi alle forze di terra, ma da qui al 2026 sul bilancio dello Stato ne incobono ben 71, tra i quali spiccano i 121 caccia F35 che costeranno 16 miliardi (80 sono già stati acquistati, ne manca l’ultima tranche) e sono da tempo oggetto di polemiche e proteste.
Ma se l'Italia ripudia la guerra, cosa ce ne facciamo di tutte queste spese militari? Specie in tempi come questi di sacrifici. Non sarebbe meglio spenderli per sistemare i problemi idrogeologici del paese? E' vero che anche l'industria bellica crea posti di lavoro (Iveco, Fiat, Oto Melara, Finmeccanica, Fincantieri, AugustaWestland), ma la domanda rimane: a chi dobbiamo fare la guerra? Chi dobbiamo bombardare?