Come abbiamo già informato, il 6 giugno 2012 la Consulta di Bioetica Laica (già nota per altre vicende) ha avviato una crociata contro il diritto dei medici di essere obiettori di coscienza nei confronti dell’interruzione della vita dell’essere umano nella prima fase della sua esistenza (tecnicamente “aborto”). L’intollerante campagna è stata chiamata “Il buon medico non obietta”, e ha il chiaro intento di debellare l’obiezione di coscienza dei medici (grande ospitalità sui media e volantinaggio fin dentro gli ospedali).
UCCR ha voluto contattare alcuni medici, giuristi ed esperti di bioetica per chiedere loro un parere su questa azione intimidatoria verso la libertà di coscienza. La prima intervista è stata fatta al dott. Renzo Puccetti, mentre la seconda alla prof.ssa Assuntina Morresi.
Il dott. Stefano Bruni, oltre che collaboratore di UCCR, è pediatra, già dirigente medico presso il Dipartimento di Emergenza e Urgenza Pediatrica dell’Ospedale Materno Infantile di Ancona e ricercatore e docente della Clinica Pediatrica dell’Università Politecnica delle Marche. Si è occupato tra le altre cose di neonatologia, medicina d’urgenza e malattie genetiche rare. Ha cortesemente offerto il suo punto di vista sulla questione:
«Non sono un costituzionalista né un esperto di bioetica. Non sono un giurista né, men che meno, un filosofo. Non sono nemmeno un politicante e quanto al mio cattolicesimo sono un cattolico “bambino”, uno che si fida di ciò che suggerisce il Magistero e lo fa proprio. Ma a prescindere dal mio essere cattolico, qui voglio essere solo un medico e come medico, prima ancora che come uomo, mi sento profondamente offeso dallo slogan della campagna contraria all’obiezione di coscienza dei medici, promossa dalla Consulta di Bioetica e di recente ripresa da alcuni organi di stampa e non solo.
A motivo di ciò che non sono, non potrò approfondire i motivi filosofici o legali o bioetici per cui l’obiezione di coscienza è un diritto per un medico cui si chieda di compiere azioni contrarie all’essenza stessa del suo essere medico, prima ancora che alla sua coscienza. Un diritto che deve continuare ad essere assicurato in un paese civile o che voglia apparire tale. Ma poiché mi sento un medico “profondamente obiettore” e, dunque, sono tra coloro che la campagna della Consulta di Bioetica addita, indirettamente, come “cattivi medici”, mi permetto di condividere con voi alcuni pensieri, per spiegare perché a mio giudizio il buon medico, semmai, è colui che obietta.
Intanto cominciamo con il dire che l’obiezione di coscienza nei confronti dell’aborto è un diritto sancito per legge e non corrisponde affatto ad un caso di disobbedienza civile: l’obbligo che l’obiettore si rifiuta di compiere è infatti un obbligo giuridico e la norma che riconosce all’obiettore (al medico nel caso della legge 194/78 sull’interruzione volontaria di gravidanza e nel caso della legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita) il diritto di sollevare obiezione è anch’essa una norma giuridica. Dunque la campagna di criminalizzazione di cui i medici obiettori sono fatti oggetto è assolutamente fuori luogo. Non che io non approverei la disobbedienza civile da parte del medico cui fosse negato il diritto all’obiezione di coscienza in nome delle sue convinzioni etiche; anzi, la troverei legittima, doverosa ed eroica. Ma stiamo parlando di un diritto tutelato dalla legge e dunque assolutamente legittimo.
Vorrei che non dimenticassimo che la libertà di coscienza, alla stessa stregua di quella di pensiero e di religione, è un diritto fondamentale dell’Uomo, così come sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, Convenzione adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948, e che la Costituzione della Repubblica Italiana, all’Articolo 2 dei Principi fondamentali “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”. La Risoluzione 1763 (2010) del Consiglio d’Europa conferma il diritto del medico a non partecipare a pratiche contro la vita e la propria deontologia o convinzione etica o religiosa. Lo sapevano anche nell’antichità qual è il primo e vero dovere del medico: nel giuramento attribuito ad Ippocrate (IV secolo a.C.), il medico proclama solennemente che “Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo.” Il giuramento del medico nei secoli si è modificato, pur tuttavia, nel testo deliberato dal Comitato Centrale della Federazione Nazionale Ordini Medici Chirurghi e Odontoiatri il 23 marzo 2007, ancora si legge quanto segue: “… giuro di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento rifuggendo da ogni indebito condizionamento; di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza; … di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona; … di prestare, in scienza e coscienza, la mia opera, … osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione.”
Se qualcuno considerasse un po’ “sorpassato” il giuramento di Ippocrate, ancorchè nella versione moderna, e abbia dei dubbi su quale sia la vera “vocazione” del medico, il suo primo dovere, vi rimando al Codice di Deontologia Medica dove si legge che “dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell’Uomo e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana, senza distinzioni di età …” e che “l’esercizio della medicina è fondato sulla libertà e sull’indipendenza della professione che costituiscono diritto inalienabile del medico. Il medico nell’esercizio della professione deve attenersi alle conoscenze scientifiche e ispirarsi ai valori etici della professione, assumendo come principio il rispetto della vita, della salute fisica e psichica, della libertà e della dignità della persona; non deve soggiacere a interessi, imposizioni e suggestioni di qualsiasi natura.” O ancora, sempre in difesa della vita e, nello specifico, contro l’eutanasia, il codice deontologico fornisce la seguente indicazione: “Il medico, anche su richiesta del malato, non deve effettuare né favorire trattamenti finalizzati a provocarne la morte.”
Il medico dunque opera in difesa e non contro la vita. E le sue scelte devono essere libere da condizionamenti, con ciò intendendosi non solo il possibile condizionamento, cui tutti sono portati immediatamente a pensare, delle aziende farmaceutiche ma anche le pressioni dell’opinione pubblica, le campagne di stampa o quelle promosse da sedicenti politici o consulte di bioetica autoproclamatisi difensori dei diritti, dubbi, di alcuni contro quelli, sacrosanti, come quello alla vita, di altri. Il medico, il buon medico, giura di rispettare le norme giuridiche che non risultano in contrasto con gli scopi della sua professione, cioè che non siano in contrasto con lo scopo per eccellenza della medicina e cioè la difesa della vita. Il medico, il buon medico, giura di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona.
E allora cosa deve fare il buon medico quando si trova a dover scegliere tra l’obbedienza ad una legge dello stato, che è palesemente contro la vita, e l’aderenza al suo giuramento ed alle sue convinzioni etiche (a prescindere dal suo credo religioso) se non avvalersi del diritto ad obiettare? È curioso che chi a suo tempo difendeva il sacrosanto diritto di alcuni all’obiezione al servizio militare, e che con la propria azione ha portato alla legittimazione di questa forma di obiezione di coscienza, in nome della prevalenza del diritto di un singolo su quello della collettività e della legge, oggi voglia negare questo stesso sacrosanto diritto all’obiezione di coscienza ai medici che non vogliono procurare la morte a nessun essere umano vivente. Perché due pesi e due misure? Allo stesso modo è curioso che nessuno di coloro che vorrebbero togliere ai medici il diritto a non dare la morte, si schieri contro il diritto dei ricercatori all’obiezione di coscienza nei confronti della sperimentazione animale (legge 413/93): un cagnolino, per quanto simpatico e tenero possa essere, o una cavia, o una scimmia, sono forse più importanti di un bambino o di un moribondo? Sono forse più “persona”?
Eh no, amici miei. Il buon medico è senza alcun dubbio quello che obietta. Semmai potremmo porci la domanda se sia un buono Stato quello che con le sue leggi contro la vita mette un medico nelle condizioni di dover obiettare. Parafrasando il noto motto cartesiano “cogito ergo sum”, si potrebbe dire “obicio ergo sum”, intendendo con ciò “esisto (sottinteso “come medico”) proprio in quanto sono obiettore nei confronti di leggi, che anziché tutelare la vita ne permettono la soppressione”».