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Con enorme ritardo, un ricordo di un personaggio che, pur non essendo musicista, ha segnato come pochi la storia del Rock, Storm Thorgerson, scomparso appena due mesi fa. L'articolo integrale potete trovarlo sulla rivista elettronica The Circle Review, scaricabile al seguente indirizzo:
http://ilcircolodellearti.myblog.it/the-circle-review-rivista-culturale-letteraria-del-ring.html Qui solo una brevissima carrellate di tre opere (...già viste e riviste su questo blog...) di un vero gigante del Rock Design! Led Zeppelin – Houses of the Holy (1973) Hipgnosis – Copertina esterna e interna (fronte e retro)
Il quinto album del gruppo di Page e Plant segnò un distacco profondissimo dal blues-rock degli esordi, colorandosi di suggestioni progressive, folk, e orientaleggianti. La doppia cover apribile elaborata dalla Hipgnosis è certo una delle immagini più provocatorie del periodo, eppure manca del tutto di quella sottile volgarità che permeava – per esempio - la copertina dell’album dei Blind Faith e che in seguito avrebbe ammorbato molte uscite heavy metal (celebri un paio di censure agli Scorpions). La scena, il cui set fu allestito nelle foreste pietrificate di Giants Causeway in Irlanda, trasuda di un paganesimo e di un misticismo potenti. Fanciulli nudi, candidi che si inerpicano verso quello che pare un enorme altare di pietra su cui una divinità gigante si appresta a celebrare il suo rito. Ma è l’artificiosità di una scala cromatica iper-satura e fiammeggiante (colori caldi sul fronte, freddi sul retro) a restituire quel senso di straniamento e paradosso capace di descrivere tutta la vicenda più come un parabola onirica che una rappresentazione di una concreta realtà. Per questo non c’è scandalo. E’ una finestra su un mondo “altro”. Pink Floyd – Dak side of the Moon (1973) Hipgnosis - Copertina
Il rapporto di Storm Thorgerson con i Pink Floyd fu uno dei binomi artistici più duraturi e fruttuosi del rock classico, continuato ininterrottamente per oltre vent’anni e decine di album. Il prisma bianco in campo nero è divenuto simbolo talmente celebre da essere immediatamente riconoscibile, come un vessillo araldico per uno dei gruppi più amati della musica degli anni ’70. Una rappresentazione ultra sintetica, quasi minimale, studiata passo passo con il gruppo che scelse il disegno fra le varie proposte fatte dallla Hipgnosis. Il fascio continuo della luce è il flusso continuo della musica nelle due facciate; la forma del prisma è ripresa anche nel poster abbinato al disco e raffigurante le piramidi di Giza. Una moderna simbologia di rapida assimilazione e semplice come lo sono tutti i capolavori. Quatermass – Quatermass (1971) Hipgnosis – Copertina (fronte+retro)
Gruppo minore della scena progressiva britannica, i Quatermass diedero alle stampe nel ‘71 un eccellente album che fornì all’Hipgnosis l’occasione di creare uno dei suoi più celebri e spettacolari art work. Il dato fotografico di base rappresenta alcuni palazzi governativi di Victoria Street, poi duplicati secondo una rigidissima simmetria e disposti a formare due piani cartesiani opposti, caratterizzate da fortissime deformazioni ottiche. Potrebbero essere due pareti a specchio perfettamente verticali, quanto il cielo e la superficie di un pianeta robotico. Nel mezzo di queste geometrie rigorose si spalanca un frammento chiaroscuro di cielo da cui letteralmente precipita uno stormo di arcaici pterosauri dall’aria minacciosa. Monster in Paradise, come recita il titolo di una canzone spesso interpretata dai Quatermass. Mostri che precipitano da un altro tempo, un’altra era, che sparigliano la rigorosa e ortogonale tecnologia dell’epoca moderna e generano un “warping” temporale acutissimo e straniante. E anche una fosca “premonizione” degli orrori del 11/09 in cui la preistoricità del pensiero integralista piombò nell’elegante simmetria delle Torri Gemelle.
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