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L’Ode al Monte Soratte di Damiani

Da Ornellaspagnulo82 @OrnellaSpagnulo

C. DAMIANI, Ode al Monte Soratte, Monterotondo, Fuorilinea, 2015.

Ode Monte Soratte Damiani

Cè qualcosa che si può chiedere a questo libro e che non si può pretendere da tutti i libri: la pace interiore, l’armonia, la riconciliazione con la natura. Ode al Monte Soratte è una raccolta di versi provocatoria per il mondo in cui viviamo: Claudio Damiani infatti non canta né l’apologia del traffico, né la funzionalità degli elettrodomestici, né le formidabili innovazioni dei pc e nemmeno l’efficacia dei telefonini intelligenti… «Per lui i luoghi sono esseri viventi, come persone, con un loro carattere, un loro modo di essere, di comportarsi, di pensare. E con loro dialoga»: lo leggiamo nella sua breve biografia all’inizio del volume. Ma si allude a un certo tipo di luoghi molto ristretto (eppure infinito): i luoghi naturali.

Sono due i riferimenti che saltano subito alla mente per quanto sono espliciti nel testo. Questa Ode al Monte di Damiani ricorda da vicino il Cantico delle Creature di San Francesco e la lettera al Monte Ventoso di Petrarca (non a caso, il dialogo Quadrara delle Aquile ha come interlocutori proprio un Francesco e una Laura). Credo quindi che il titolo del libro potrebbe essere esteso con l’inserimento di un aggettivo che lo connoterebbe con fedeltà: Ode francescana al Monte Soratte. L’attributo si riferirebbe sia allo stile povero e semplice, sia al contenuto mistico, che non è in secondo piano e inneggia a un recupero del rapporto con la natura e i suoi elementi, come già quel famoso cristiano che un giorno decise di dare via gli abiti di famiglia e prese a parlare con gli animali, riuscendo a muovere a compassione perfino il papa. Claudio Damiani sembrerebbe seguire alla lettera quel Cantico delle Creature, se non fosse per un particolare. Il Sole, che in Francesco simboleggia l’Altissimo, il primo tra i fratelli (a cui seguono a ruota sora Luna e le stelle, frate Vento, sor’Acqua, frate Focu e matre Terra) è qui sostituito dal Monte. Fra tutte le creature, infatti, il poeta Damiani, che vive ai piedi del Soratte dal 2006, canta la montagna, il luogo naturale più vicino al cielo.

Volendo intraprendere un’interpretazione psicoanalitica, possiamo partire dalla semplice constatazione che il sole in Freud e in Jung rappresenta il padre e la sua presenza così forte nel componimento di San Francesco si spiega bene: Francesco cercava soprattutto il padre, o meglio il Padre, per questo aveva affidato al Sole un ruolo primario fra tutte le creature. Ma nelle liriche di Claudio Damiani, nell’Ode al Monte Soratte in particolare, la montagna sostituisce di fatto il sole. Che cos’è, allora, questa montagna? Sigmund Freud fu un grande estimatore delle montagne: amava passeggiare a lungo d’estate per contemplare i paesaggi dalle Alpi (spesso proprio dall’Italia). Il suo imperativo di salire sulle montagne e mangiare le fragole, scritto in una lettera a un amico, è rimasto impresso come un invito ad astrarsi dal mondo per dedicarsi al piacere dopo una faticosa scalata. I significati della montagna possono essere molteplici: già nelle Sacre Scritture questo elemento paesaggistico assumeva ora la sede della dimora del Signore, ora le caratteristiche della malvagità. In Claudio Damiani il monte è quasi un soggetto da sfidare: «Tu te ne stai sopra e troneggi / ma io vengo fin lassù, cosa credi!». La montagna però corrisponde anche alla conoscenza del mondo, alla pienezza del tutto che si può raggiungere solo da una vetta, da lontano, dall’alto: «Tu vuoi farmi vedere tutto, sei come un bambino / e vuoi raccontarmi la tua storia». E in questo riferimento preciso alla storia della montagna si aggiunge un elemento metapoetico.

Ci possono essere senz’altro dei pericoli nei percorsi fino in cima: «Io avevo un po’ paura delle vipere / per la stagione e le erbe troppo alte / così abbiamo battuto la terra prima per allontanarle». Del resto, il monte non è perfetto: ha visto anche il passaggio delle streghe e dei briganti! Ma in queste pagine, come nel rapporto psicoanalitico, l’individuo sul sentiero è solo con se stesso e può essere attraversato da una fatica paralizzante: «Facevo molta fatica. Mi sono fermato / e mi sono seduto / in mezzo al sentiero, / tanto, ho pensato, / su questo sentiero / cammino solo io / non intralcerò la strada /a nessun altro» (straordinariamente novecentesco, qui, si avverte l’impasse per cui sembra che l’io poetico ammetta di poter intralciare la strada a se stesso: «non intralcerò la strada / a nessun altro»).

La montagna è la sede delle difficoltà da superare per arrivare fino all’ultimo tratto da scalare e rilassarsi, da soli o in compagnia, osservando il paesaggio celeste o terreno, con il cervello iperossigenato e i muscoli stanchi: via dai rumori, via dagli obblighi, via dalle incomprensioni. Si ha l’impressione, a tratti, che l’io poetico sperimenti un’identificazione con il monte stesso, una fuga da una condizione umana fragile e insoddisfatta: «Avrei voluto capire di più / e essere più amato, essere più capito / io stesso». Sono svariati i riferimenti all’infanzia come a uno stato di purezza e meraviglia, recuperabile solo con un concreto sforzo.

L’altro riferimento evidente dell’Ode al Monte di Claudio Damiani è la lettera al Ventoso di Francesco Petrarca, indirizzata al monaco Dionigi da Borgo San Sepolcro, che aveva regalato al poeta le Confessioni di Sant’Agostino. Anche qui, una montagna da scalare, anche qui, frequenti difficoltà che però non portavano a mollare la presa, ma a proseguire fino alla vetta. In entrambi i casi è una scalata che avviene con un familiare: Francesco Petrarca saliva sulle altezze insieme al fratello Gherardo, ben più sicuro di lui, Claudio Damiani invece si fa accompagnare dal figlio Antonio, di cui, grazie alla Nota che chiude la raccolta, conosciamo l’età attuale (12 anni) e l’età dell’epoca (al tempo della scrittura della poesia ne aveva 7). Il tema religioso appare chiarissimo nel verso conclusivo, in cui il soggetto si sente il bambino nel quadro Madonna Litta di Leonardo, come se non fosse sul monte nel ruolo di padre che accompagna un figlio, ma come figlio a sua volta.

Il dialogo Quadrara delle Aquile era già uscito nel libro-catalogo di Giuseppe Salvatori, Diomira, 1978-2006 (Galleria d’arte Marchetti, 2006). Si tratta di un dialogo sulle montagne, sugli alberi, sugli uccellini, si tratta di sospensione senza il senso delle vertigini perché sul monte ci si sente leggeri come angeli. Di nuovo un timido richiamo a San Francesco: «Le erbe erano umili», mentre due pagine più avanti Francesco viene finalmente nominato: si parla della necessaria sopportazione delle formiche, che subito saltano addosso quando si è sdraiati sull’erba. Occorre sopportarle seguendo l’esempio: «San Francesco negli ultimi giorni di vita aveva quel tormento dei topi, che lo infastidivano continuamente. Ma lui doveva sopportare».

Doveroso, alla fine, è spendere almeno due parole sulle meravigliose illustrazioni di Giuseppe Salvatori, non perché due parole bastino, ma perché chi scrive questa recensione non si intende particolarmente di storia dell’arte contemporanea. A ogni modo, i disegni neri che affiancano i testi di Damiani presentano stretti richiami con le macchie di Rorschach, il test finalizzato a scoprire la personalità degli individui attraverso associazioni a partire da macchie simili alle illustrazioni di Salvatori. Forse perché le montagne ci aiutano a scoprire noi stessi?

Ornella Spagnulo

Ode Monte Soratte Damiani

La recensione si trova all’interno della rivista letteraria “In Limine”, 2015, n. 11.

Il pdf è qui: Ode Monte Soratte Damiani

(In questa versione online, per comodità, ho eliminato le note).



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