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L’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), ha deciso di porre fine a un accordo di cooperazione per la sicurezza con Israele, che sta in piedi dagli accordi di Oslo del 1993. In pratica, questa decisione significa che termina la condivisione di informazioni di intelligence sui gruppi combattenti come Hamas o la Jihad islamica palestinese.
La decisione dell’OLP – che è l’organo di rappresentanza per i palestinesi e le sue “esortazioni” sono praticamente vincolanti per l’Autorità palestinese (“Stato palestinese”) di Abu Mazen – è il segno evidente del peggioramento del rapporto tra Israele e Palestina. Il Comitato centrale che si è riunito a Ramallah, in Cisgiordania, ha motivato la scelta spiegando che c’è una «sistematica violazione» israeliana «dei suoi obblighi in relazione agli accordi firmati», e chiedendo anche alla «potenza occupante» di «assumersi tutte le sue responsabilità verso il popolo palestinese nello stato della Palestina occupata, la Cisgiordania, Gerusalemme Est e Gaza».
La decisione è storica, anche perché gli accordi bilaterali sulla Sicurezza, sono stati, negli anni, l’aspetto più efficace (se non l’unico) della pace Rabin-Arafat.
Secondo molto analisti, dietro alla presa di posizione dell’OLP c’è l’interruzione dei trasferimenti fiscali, che Israele ha imposto dopo la decisione dell’Autorità di aderire alla Corte penale internazionale (ICC), a seguito dei fatti dell’operazione Protective Hedge – con cui la scorsa estate Israele lanciò un’offensiva di terra su Gaza. Il blocco dei trasferimenti ha impedito al governo il pagamento della spesa pubblica.
Fonti palestinesi alla BBC hanno spiegato che la decisione, anche se non è stata ratificata ancora, non è un bluff finalizzato a pressare Israele sullo sblocco, ma è una scelta definitiva.
Sospendere la collaborazione sulla sicurezza, è la carta più forte in mano ai palestinesi: Israele sa che la condivisione di informazioni di intelligence, è un punto delicato e imprescindibile per garantire sicurezza sul proprio territorio.
Sullo sfondo due nodi politici. Il primo, legato alle elezioni israeliane: Netanyahu si ritrova in mano quello che è oggettivamente un guaio, ma che allo stesso tempo può fare da buon gioco per pressare sulla retorica nazionalista e conservatrice del suo partito – in una votazione che si preannuncia un referendum su di lui. Secondo, l’OLP, così facendo, si avvicina – anche se magari lo fa in modo indiretto – alle posizioni di Hamas, che ha sempre criticato gli accordi di sicurezza, dicendo che erano un modo con cui l’Anp finiva per amministrare l’occupazione israeliana.
E intanto, stamane, c’è stato un altro episodio di quella che si può definire “Car-Intifada”. Lungo una strada della linea di cucitura tra Gerusalemme est e ovest, un’auto guidata da un palestinese, si è scagliata contro alcuni pedoni israeliani – quattro poliziotti e un civile – che si trovavano in strada per la festa del Purim. Un atto terroristico come se ne sono già visti altri – e in linea anche con i precetti del portavoce del Califfo Baghdadi, al Adnani, che aveva invitato i credenti ad uccidere gli infedeli con ciò di cui disponevano, «colpiteli con sassi, coltelli, a mani nudi, investiteli con le vostre auto».
In questo momento, sicuramente, di tutto ha bisogno Israele, meno che avere buchi sulla Sicurezza.
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