Magazine Diario personale

L'ombrello maggiolino

Da Carlo Tosetti @TosettiCarlo
L'ombrello maggiolino
Faccio parte di quella consistente fetta della popolazione mondiale che non sopporta l’ombrello. Questa categoria d’insofferenti non va confusa con quella (squisitamente femminile) che tende a smarrirlo. Sono due faccende affatto differenti: chi lo smarrisce, infatti, lo utilizza. Quando l’irriducibile sbadato non ne fa uso, non è per fastidio, ma unicamente per timore di perdere l’ennesimo accessorio. Comunque sia: io non lo uso perché mi crea impaccio, è di troppo. Facendo parte della categoria, lo affermo con certezza: la causa è proprio l’impaccio. I rari momenti in cui la mia convinzione vacilla, sono permeati dalla consapevolezza dello schifo immondo veicolato dall’acqua piovana. La gente non sa, non se ne rende conto, ed è meglio così… Mia madre raccoglie ettolitri d’acqua piovana e la usa in seguito per bagnare i fiori. Alla natura venefica dell’acqua piovana, aggiunge quindi la nutrita coltura di parassiti, batteri, larve, che si sviluppa facendo ristagnare l’acqua in barili di plastica. A nulla è valso il mio monito. “Meglio spendere qualche euro in più in bollette!”, le ho consigliato… Tornando all’ombrello: quando ero un giovincello e le suggestioni indotte dai romanzieri mi marchiavano a fuoco, lessi una descrizione dell’ombrello, scritta da Mishima, in “Stella meravigliosa”. L’autore, nel motivare la ripugnanza verso l’ombrello, puntava l’indice contro la tensione inaudita della struttura dell’ombrello, contro l’ansia che procura. In effetti, spogliandolo del telo, lo stesso rivela una struttura esile, ma tesa, quasi protesa, resistente e ramificata, con artigli, il che rievoca macabri aracnidi ed altri esseri che, spesso, popolano gl’incubi. Allora, da giovincello, trovai in Mishima un forte alleato: nessuno più poté discutere la mia avversione verso l’angoscioso ombrello. Neppure declinando all’inglese (umbrella), neppure quella spolverata di femminile, lo rende risonante con la mia persona. Forse il francese “parapluie”, per la sonorità, addolcisce il clima, ma… Niente da fare; fra me e l’ombrello non c’è alcuna empatia. Questa mattina, però, sotto la pioggia di maggio (le celeberrime piogge di maggio?), incessante e incattivita, pensando allo schifo immondo che mi stava cascando in testa, ho aperto un ombrello che lascio decomporre in macchina. Non uno tascabile, no. Un ombrello di misura xxl, per intenderci. E… non so…Forse il vento che sibilando accompagnava la pioggia, forse il mio offuscamento mentale mattutino, forse la confusione di Milano, il traffico ed i clacson… Insomma: ho proprio percepito che, si! E’ Vero! Con l’ombrello adatto si potrebbe volare. Ho avuto la sensazione di staccarmi da terra di un solo micron, ma quanto basta per sentire la leggerezza del volo. Mary Poppins e Magritte, a loro ho pensato e, riguardo all’ombrello… Mi perdoni Mishima, ma me ne sono innamorato.
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