Magazine Diario personale

L’omologazione e l’arte.

Da Arthur

Spagna-Fico

Capita alle volte di andare in giro soprattutto in vacanza, rendendosi conto che ciò che ci offre questo mondo sempre più globalizzato è tutta una serie di “prodotti”, nel consumo, nella cultura, nei costumi e perfino nel pensiero, che nella loro essenza più propria ha totalmente perso unicità.

Volendo banalizzare, basta fare un giro tra le bancarelle che si trovano nei centri turistici, sempre meno turisti che si accalcano per curiosare e sempre più gingilli tutti uguali tra di loro.

Un prodotto omologato dunque, probabilmente frutto di stranissime ricerche di mercato. Qualcuno pensa ai nostri bisogni per renderli ogni giorno sempre più simili e uguali agli altri. Appunto!

Che meraviglia. E non solo.

Girando per gallerie d’arte questa estate ho avuto la stessa sensazione; quadri, sculture, piccole istallazioni che non comunicavano ahimè nulla di nuovo, anzi, un déjà-vu per certi aspetti sconcertante. Oggetti belli – alcuni – giusto adatti per stare in bella vista in un soggiorno, un elemento d’arredo dunque che con l’arte, intesa come l’espressione di un’emozione pura e unica, non ha nulla a che vedere.

Forse stiamo vivendo un momento storico un po’ confuso, tanto fermento, nell’arte in genere, nel design, nell’architettura, nella musica, complice la comunicazione che grazie alla rete è immediata, ma allo stesso tempo una carenza di idee che proprio nell’omologazione trova tristemente riscontro.

Tanti mezzi espressivi utilizzati per comunicare, video, film, istallazioni, una narrativa dove spesso l’opera stessa non esiste, perché è più importante stupire, ci si affida all’evento piuttosto che ai contenuti, dove alla fine anche l’emozione è un vago ricordo.

Forse sono io che non mi accontento più, vorrei vorrei vorrei, tanta energia dentro di me, ma anche tanta noia per ciò che incontro.

Evvabè, tiriamoci su le maniche, chissa!



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