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L’oppio in afghanistan: salvezza e rovina

Creato il 08 aprile 2014 da Eurasia @eurasiarivista
:::: Silvia Bettiol :::: 8 aprile, 2014 :::: Email This Post   Print This Post L’OPPIO IN AFGHANISTAN: SALVEZZA E ROVINA

L’Afghanistan è il Paese che produce attualmente quasi il 93% dell’oppio reperibile nel mercato mondiale.

Le origini della coltivazione della pianta da cui è possibile ricavare l’eroina, che viene poi commerciata, datano da prima della guerra fredda ma è con essa, e con l’intromissione di attori esterni in quella parte dell’Asia Centrale, che i livelli di produzione della stessa sono passati da poche centinaia di tonnellate ad alcune migliaia. Durante gli anni ottanta, quando gli Stati Uniti decisero che i sovietici avrebbero dovuto vivere in Afghanistan la stessa esperienza che essi avevano vissuto in Vietnam e cominciarono a collaborare con i servizi segreti pakistani per destabilizzare i loro nemici, nella regione di confine tra Afghanistan e Pakistan la produzione di oppio crebbe in maniera esponenziale. Durante la guerra fredda la CIA aveva sperimentato collaborazione e complicità con signori dediti alla guerra, con individui legati alla malavita e anche con trafficanti di droga, ovvero con chiunque potesse dimostrarsi loro utile per combattere la minaccia comunista. Fu proprio l’adozione di questo modus operandi a coinvolgere gli USA, man mano, nell’esplosione del traffico di oppio in Asia Centrale, oltre che il fatto di essere il principale mercato di consumo dell’eroina. Durante quel periodo la produzione di oppio nella regione di confine tra l’Afghanistan e il Pakistan, che era all’epoca appena sufficiente a coprire le richieste del mercato regionale, crebbe a tal punto da rendere l’area la maggior produttrice di eroina al mondo. Tra il 1981 e il 1990, inoltre, la produzione di oppio all’interno dell’Afghanistan, da sola, crebbe da 250 a 2.000 tonnellate.

L’oppio si rivelò proficuo e i tutti i successivi governanti del Paese fecero della sua coltivazione una loro fonte di introiti. La coltivazione dei papaveri da oppio continuò incontrastata anche dopo la ritirata dei sovietici, quando i mujaheddin ordinarono alla popolazione di piantarlo istituendo anche una “opium tax” e creando decine di laboratori clandestini per la sua raffinazione e trasformazione in eroina, sempre lungo la linea di frontiera con il Pakistan, sotto la protezione dell’ISI e il benestare dei servizi segreti americani. Sempre in quel periodo la produzione di eroina era riuscita a coprire il 60% delle richieste del mercato americano, mentre la consumazione di eroina all’interno del Pakistan crebbe nel corso di un decennio da zero a 1.2 milioni. È necessario ricordare che la regione tribale di FATA (la regione di confine con l’Afghanistan) è considerata dallo stato pakistano una zona distaccata da esso, seppur sotto il suo controllo, e per questo motivo è stata utilizzata nel corso degli anni per nascondervi le attività illecite o quelle di cui il governo di Islamabad voleva farsi ritenere all’oscuro. Anche quando nel Paese scoppiò la guerra civile, nel 1992, i vari signori della guerra in lotta per la contesa del potere sostennero la produzione di oppio, poiché i ricavi derivanti dal suo commercio servivano a finanziare i combattimenti. Dal 1979, anno dell’inizio dell’invasione sovietica, e per molto tempo dopo, il suolo del Paese venne distrutto e sconvolto a causa dei pesanti combattimenti. L’Afghanistan era un Paese in cui la sussistenza derivava in gran parte dall’agricoltura, possedeva un ecosistema agricolo ricco di varietà di cereali ed altri prodotti, i quali permettevano la sopravvivenza economica e il sostentamento della popolazione quasi interamente impiegata nell’agricoltura. Durate l’invasione sovietica prima e la guerra civile poi, il sistema di irrigazione venne totalmente distrutto, il suolo cosparso di mine antiuomo e devastato dai bombardamenti e la ricca biodiversità del Paese sostituita dalla coltivazione dell’oppio, che divenne l’unica fonte di sopravvivenza della popolazione e rese il Paese dipendente da esso. L’incertezza stava cominciando a rendere la popolazione dipendente da questo tipo di coltura, poiché era l’unica che veniva risparmiata o protetta dai combattimenti.

Questo tipo di sfruttamento del sottosuolo continuò anche con il regime dei Talebani. Quando costoro salirono al potere nel 1996 incoraggiarono la coltivazione dell’oppio, raddoppiando la produzione a 4.600 tonnellate, l’equivalete del 75% del “fabbisogno” mondiale di eroina; cominciarono anche a riscuotere una tassa del 20% sui proventi ricavati dai coltivatori, arrivando a guadagnare circa 100 milioni di dollari (1). A causa del rifiuto della comunità internazionale di riconoscerli come legittimo governo afghano, nel 2000 però il Mullah Omar ordinò la distruzione delle piantagioni di oppio e, per cercare di guadagnare consensi a livello internazionale, decise di mettere in atto una campagna di estirpazione del papavero da oppio in cooperazione con le Nazioni Unite. Tale campagna portò a un declino del 94% della produzione di oppio (dalle migliaia di tonnellate prodotte negli anni precedenti si passò alla produzione di sole 185 tonnellate (2), un record storico per il Paese, ben riconosciuto anche dall’ONU).

Nel 2001, quindi, la questione sembrava essere risolta, mentre però lo stato afghano stava avendo seri problemi finanziari poiché il governo si era privato della maggiore fonte di introiti: la coltivazione illegale era però sulla via di essere debellata. Dopo l’attacco del 7 ottobre del 2001 da parte degli Stati Uniti le cose cambiarono tuttavia drasticamente. Nel 2002 le precedenti 185 tonnellate raggiunte sotto il controllo del regime talebano salirono a 3.400 tonnellate, e il prezzo dell’oppio a livello mondiale salì di circa dieci volte rispetto al 2000 (3).

L’amministrazione Bush, che con l’esercito è stata presente nel Paese dall’ottobre del 2001 al 2008, aveva deciso di adottare un approccio definito “impronta leggera” (4), il quale prevedeva limitati sforzi militari diretti a raggiungere l’obiettivo di catturare e debellare i terroristi ma non accompagnati da altrettanti sforzi di nation building. Il Presidente americano aveva così deciso di adottare la stessa strategia anche per quanto riguarda la gestione del problema dell’oppio e, anche perché riteneva che la questione della droga non era un problema di cui il governo degli Stati Uniti avrebbe dovuto occuparsi, incaricò la Gran Bretagna della sua gestione. Il governo inglese decise di affrontare la questione mettendo in pratica una campagna di eliminazione della coltivazione di oppio che prevedeva un compenso per coloro che l’avessero messa in atto autonomamente. Tale progetto non andò tuttavia a buon fine a causa della corruzione che ne distorse le intenzioni portandolo al fallimento. Dal 2004 la Gran Bretagna decise allora di cambiare tattica: cominciò ad abbandonare tale campagna e iniziò invece a colpire obiettivi mirati, quali grandi trafficanti e laboratori di raffinazione clandestini. Anche in questo caso le operazioni vennero alterate dall’intromissione di uomini di potere afghani che le utilizzarono per eliminare rivali e concorrenti scomodi: anche quando furono colpiti coltivatori d’oppio, ciò avveniva per i più piccoli e deboli, coloro che non detenevano nessuna influenza nel traffico di droga nazionale. In seguito la tattica cambiò ancora, e le pratiche di sradicamento manuale vennero riprese da parte di unità afghane addestrate dal contractor statunitense Dyncorp (5): alla pratica di tale attività corrispose però un forte sentimento di opposizione da parte della popolazione, insieme a campagne di violenza da parte degli insorti che controllavano gran parte di questa attività illegale e lucrativa. Come prima accennato, molto spesso la coltivazione dell’oppio rimane l’unica fonte di sussistenza della popolazione afghana che si trova in condizioni di grande povertà e per questo motivo la popolazione si oppone ad essa. Tale coltivazione costituisce infatti il sostentamento di quasi 25-30 milioni di persone nel Paese. Gli agricoltori possono guadagnare circa 230 dollari per un chilo di oppio, in confronto ai soli 43 centesimi per un chilo di grano o 1.25 dollari per un chilo di riso (6): appare facile pensare che in un Paese devastato dalla povertà e in cui regna l’incertezza la popolazione si rivolga facilmente a qualcosa e a coloro che possono garantire un guadagno sicuro e più sostanzioso; non si tratta di una questione di moralità, bensì di necessità per la sopravvivenza. Le campagne di eliminazione portate avanti sino al 2009 hanno contribuito quindi ad allontanare la popolazione dal contingente internazionale e dai funzionari governativi, spingendola a collaborare con i Talebani. D’altronde, molti funzionari incaricati di distruggere le piantagioni hanno usato il loro potere per eliminare la concorrenza essendo spesso essi stessi coinvolti nel traffico. Essendo l’Afghanistan il primo produttore di oppio al mondo è ovvio che tale fenomeno si è diffuso come una metastasi tra i vari livelli di governance del Paese, sia in maniera verticale che orizzontale e che, oltre ai Talebani e ai signori della guerra (rimessi in gioco dagli USA), anche molti membri del governo di Karzai si sono lasciati coinvolgere, o addirittura lo hanno sostenuto.

Quando Obama assunse il potere nel 2009 si trovò quindi con un Afghanistan che produceva più del 93% dell’oppio del mondo (7), ma decise che il governo degli Stati Uniti avrebbe dovuto occuparsi personalmente della questione: il nuovo presidente fece rientrare la questione della droga tra i problemi che la nuova amministrazione americana avrebbe dovuto risolvere. Avendo notato che le campagne di eliminazione della coltivazione di oppio portate avanti sino a quel momento, oltre ad aver aumentato l’astio della popolazione, non avevano in alcun modo indebolito il potere dei Talebani, decise di cambiare strategia. Le nuove linee guida dell’amministrazione democratica erano rivolte a colpire i grandi trafficanti talebani e a promuovere forme alternative di sviluppo rurale: il Presidente voleva far convergere la strategia di contro insurrezione con quella antidroga (8), offrendo possibilità alternative alla popolazione, che avrebbe in questo modo collaborato con gli USA nella guerra agli insorti e in quella contro la produzione di oppio.

Spesso però si è dimostrato difficile offrire alternative ai cittadini e gli aiuti che questi avrebbero dovuto ricevere non sono mai arrivati. La coltivazione dell’oppio è legata all’insicurezza e, ovunque ci siano coltivazioni, l’insicurezza aumenta, ma se gli aiuti garantiti dal contingente internazionale non arrivano come promesso, la popolazione non può permettersi di distruggere le piantagioni. Molte volte per i cittadini afghani l’unica alternativa possibile è quella di rivolgersi ai Talebani che promettono loro di combattere le forze governative e di fornire le sementi.

Secondo l’ultimo rapporto dell’UNODC del 2013, la coltivazione di oppio nel Paese ha raggiunto un nuovo record: la mole dei campi coltivati con i papaveri ammonta a 209.000 mila ettari, cifra che supera il record raggiunto nel 2007 di 193.000 ettari (con un 36% di incremento rispetto al 2012). Per quanto riguarda le tonnellate di oppio prodotte, invece, è stato registrato un incremento del 49% rispetto all’anno precedente (corrispondente a 5.500 tonnellate in più (9)). Sempre secondo quel rapporto il numero di province dichiarate “poppy-free” è di 15 su 34 e l’89% dell’oppio è stato coltivato nelle nove province della regione meridionale e occidentale del Paese, che coincide tra l’altro con l’area più insicura. Permane dunque il link tra l’insicurezza e la quantità di oppio prodotta.

La situazione è spiegata in maniera molto chiara da alcune interviste fatte agli abitanti della provincia di Helmand (una delle province afghane in cui tale coltivazione è maggiormente diffusa), di cui vengono qui proposte alcune frasi:

“It’s better if they don’t destroy the crops this year. Next year, if they provide better security, reconstruction and work programs, then we guarantee they will not grow poppy.” (Muhammad Nabi, tribal elder di Marja) (10)

“They told us they would give us alternatives, build bridges for us, but they didn’t keep their promises,” Wali said in a phone interview from his home district, Marja. Most ordinary Afghans dislike the drug trade, he added, but a growing number are turning to it out of necessity or coercion. “But people are very impoverished, and costs are rising every day. Meanwhile, the armed opposition forces are getting people to plant poppy so they can make money from it.” (Hajji Sha Wali, anziano della provincial di Helmand) (11)

La realtà è molto diversa da quella presentata nei documenti ufficiali e come sempre è molto più complicata. Si può scoprire che non tutti i trafficanti e i coltivatori di oppio sono criminali agli occhi degli afghani. Addirittura molti di essi si sono trasformati invece in eroi popolari o in figure in cui la popolazione trova sostegno, lo stesso sostegno che gli USA e il governo di Kabul non sono in grado di assicurare. Si possono trovare molti esempi al riguardo, ma, per farne uno, citiamo il caso di Haji Barat, il mercante di oppio nella capitale di provincia di Fayzabad che ha costruito una clinica con 50 posti letto con i profitti ricavati dal traffico illegale (12), o i commercianti di oppio che si offrono spesso di fornire sementi, fertilizzanti e persino piccoli prestiti agli agricoltori che si trovano quindi vulnerabili nei confronti dei loro incentivi.

La produzione dell’oppio, l’insicurezza e l’incertezza riguardo il futuro sono strettamente collegate tra loro. Nonostante Obama abbia annunciato il ritiro del contingente internazionale e delle truppe statunitensi dal Paese entro il 2014 e Obama e Karzai abbiano definito concluso con successo il processo di transizione di responsabilità del controllo del territorio afgano nel giugno del 2013, la situazione interna all’Afghanistan sembra peggiorare sempre di più e con essa sembra aumentare l’incertezza della popolazione. Gli afghani stanno mandando un figlio a combattere tra le file dei talebani e uno tra le file dell’esercito afghano, dato che per loro è difficile capire a chi affidarsi senza subire ritorsioni ed è dunque necessario potersi rivolgere indifferentemente verso chi offre loro più sicurezza. A questo si aggiunge inoltre un altro problema, quello della corruzione. Nel 2010 l’Afghanistan risultava come terzo Paese corrotto al mondo, a causa della collaborazione del presidente Karzai con i diversi signori della guerra, alcuni dei quali appartenenti alla vecchia Alleanza del Nord, e con figure corrotte. Ad aumentare la corruzione contribuisce, inoltre, seppur in maniera indiretta, l’atteggiamento della CIA che spesso si appoggia a soggetti appartenenti al palazzo del potere, per cercare di mantenere il controllo su di esso, nonostante questi siano legati al sistema corruttivo e talvolta persino al traffico di droga.

Le forze che stanno cercando di combattere e contrastare il traffico dell’oppio, in verità spesso lo stanno alimentando anche se in maniera indiretta e anche Obama, come in precedenza Bush, si è dimostrato incapace di risolvere o dare una svolta decisiva a questo problema. Troppi soggetti sono coinvolti nel traffico e nella coltivazione dei papaveri da oppio e la situazione è resa ancora più complessa dall’intromissione di attori internazionali con grandi somme di denaro a disposizione e con la capacità di influenzare i prezzi e le richieste del mercato internazionale dell’eroina.

Un’analisi a parte meriterebbe la natura internazionale del commercio di eroina, i modelli di comportamento relativi, l’organizzazione istituzionale/industriale del suo “mercato”, gli enormi interessi economici coinvolti, le attività commerciali in esso inserite e fiorenti. Tutto ciò è l’aspetto “esterno” (all’Afghanistan) che spesso viene trascurato o omesso quando si parla dell’oppio in Afghanistan.

L’oppio per molti afghani è oggi diventato disgraziatamente spesso una fonte di sostentamento, una “salvezza” dalle condizioni di povertà estrema in cui riversa una grande percentuale della popolazione, causata da più di trent’anni di guerre e conflitti; con una situazione generale che non sembra poter migliorare, perlomeno in tempi brevi.

NOTE

1)Alfred W. McCoy, -“Can Anyone Pacify the World’s Number One Narco State?”-, Tomdispatch, 30 March 2010, in http://www.tomdispatch.com/blog/175225/, 1 aprile 2014.

2)Michel Chossudovsky, -“Who benefits from the Afghan Opium Trade?”-, Global Research, 21 September 2006, in http://www.globalresearch.ca/who-benefits-from-the-afghan-opium-tra de /3294, 1 aprile 2014.

3) Michel Chossudovsky, -“The Spoils of War: Afghanistan’s Multibillion Dollar Heroin Trade”-, Global Research, 14 June 2005, in http://www.globalresearch.ca/the-spoils-of-war-afghanistan-s-multibillion-dollar-heroin-trade/91, 1 aprile 2014.

4)Michael E. O’ Hanlon , Hassina Sherjan , -“Afghanistan la guerra infinita”-, Roma, Elliot Edizioni s.r.l., 2010, p.46.

5)Wanda Felbab-Brown, -“War and Drugs in Afghanistan”-, World Politics Review, 25 October 2011, in http://www.worldpoliticsreview.com/articles/10449/war-and-drugs-in-afghanistan, 1 aprile 2014.

6)Rod Norland, -“Production of Opium by Afghans Is Up Again”-, The New York Times, 15 April 2013, in http://ww w.nytimes.com/2013/04/16/world/asia/afghanistan-opium-production-increases-for-3rd-year.html, 1 aprile 2014.

7)“Afghan opium growth ‘hits new high’ ”-, Aljazeera, 1 March 2008, in http://www.aljazeera .com/news/asia/2008/03/2008525141641610772.html, 1 aprile 2014.

8)Ivi

9)UNODC, -“Afghanistan Opium Survay 2013”-, in http://www.unodc.org/documents/crop-monitoring /Afgha nist an/Afghan_Opium_survey_2013_web_small.pdf, 1 aprile 2014.

10) Ivi

11) Ernesto Lodoño , -“As U.S. withdraws from Afghanistan, poppy trade it spent billion fighting still flourishes”-, The Washington Post, 4 November 2013, in http://www.washingtonpost.com/worl d/national-security/as-us-withdraws-from-afghanistan-poppy-trade-it-spent-billions-fighting-still-flourishes/2013/11/03/55cc99d6-4313-11e3-a751-f032898f2dbc_story.html, 1 aprile 2014.

12)Pratap Chatterjee, -“Afghanistan, our modern opium war”-, The Guardian, 1 April 2012, in http://www.theguardian.com/commentisfree/cifamerica/2012/apr/01/afghanistan-our-modern-opium-war, 1 aprile 2014.

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