L’opportunismo “religioso” di Benito Mussolini

Creato il 20 maggio 2014 da Uccronline

Una delle caratteristiche peculiari di Benito Mussolini è stato il suo “trasformismo” politico che lo ha portato ad assumere per calcolo e opportunismo provvedimenti che non sempre coincidevano con le sue opinioni private.  Questo atteggiamento lo si può notare per esempio nei confronti delle sue convinzioni religiose.

È noto infatti che prima di salire al governo Mussolini manifestò un atteggiamento ferocemente anticlericale: il rivoluzionario aveva dipinto da giovane la Chiesa con diversi epiteti come  “grande cadavere”, “lupa cruenta”,  “covo di intolleranza” e i sacerdoti come “pipistrelli”, “sanguisughe” o “sudici cani rognosi”. A volte negava l’esistenza storica di Gesù asserendo che i Vangeli non potevano essere considerati documenti degni di fede, mentre altre invece raffigurava Cristo come il primo “socialista ante litteram” accusando i papi di aver tradito il suo messaggio. In Svizzera ebbe un dibattito con il pastore evangelico Alfredo Tagliatella dove, togliendosi platealmente l’orologio, sfidò Dio dicendogli di fulminarlo entro cinque minuti se esisteva. In una serie di articoli pubblicati con lo pseudonimo di “Vero Eretico” accusò la religione d’aver prodotto secoli di guerre e i terrori dell’inquisizione e attacchi virulenti li utilizzò anche nei suo romanzi come “Claudia Particella, l’amante del cardinale” o “Giovanni Hus il veridico”.

L’atteggiamento di Mussolini non mutò neppure quando il capo del fascismo fu espulso dai socialisti e fondò i fasci di combattimento: tra i vari punti del programma di San Sepolcro c’era anche la proposta di confiscare “tutti i beni delle Congregazioni Religiose”. Di fronte però all’insuccesso elettorale ottenuto nelle elezioni politiche del novembre del ’19 mutò decisamente posizione intuendo che per raccogliere consensi era necessario non attaccare frontalmente la religione professata dalla stragrande maggioranza della popolazione:  «Qualcuno può dirvi che il fascismo è nemico della religione, che vuole scristianizzare l’Italia. Questa è una ridicola e ignobile calunnia» dichiarò in un discorso del 1921. Una volta salito al governo il futuro dittatore continuò a cercare l’appoggio dei cattolici per rafforzare la sua posizione all’estero e all’interno del paese seguendo una tattica binaria che prevedeva di blandire la Chiesa attraverso dei provvedimenti a suo favore come dei sussidi governativi a favore delle scuole religiose o l’affissione dei crocifissi e nel contempo di attaccare il clero di dichiarato comportamento antifascista o filopopolare.

Per consolidare ulteriormente le basi di massa del regime Mussolini decise di rivestire un accordo con la Chiesa risolvendo definitivamente la Questione Romana (idea che il duce aveva già coltivato fin dal ’23) e, dopo tre anni di negoziato, si giunse l’11 febbraio del 1929 alla firma dei Patti Lateranensi. Mussolini cercò anche di fare passare al popolo l’immagine di essere un devoto cattolico (a tal fine fece regolarizzare la sua relazione con Rachele sposandosi in chiesa), ma nel suo intimo restava un anticlericale convinto come è dimostrato da alcune sue disposizioni (ad esempio i giornali ricevevano spesso l’ordine di ignorare il papa). Paradossalmente, l’odio del duce verso i preti spuntò fuori chiaramente dopo la firma dei Patti Lateranensi: «Come avete udito, abbiamo fatto pace con la Chiesa… Ora che la pace è stata fatta, si può riprendere la guerra!» dichiarò di fronte al Gran Consiglio del Fascismo. A solo due mesi dalla firma del concordato il capo del fascismo fece infuriare il papa con delle dichiarazioni alla Camera nella quale affermò che in conseguenza del Trattato la Chiesa non era più libera ma subordinata allo stato e che la religione cristiana «molto probabilmente non avrebbe lasciato traccia di sé» se fosse rimasta in Palestina e non si fosse trapiantata a Roma.

Nonostante ciò il regime fascista godette negli anni ’30 di un sostanziale appoggio da parte delle gerarchie ecclesiastiche anche se non mancarono scontri che lasciarono intravedere che la collaborazione era solamente opportunistica e precaria. Nel 1931, ad esempio, vi fu un aspro conflitto tra la Chiesa e il regime riguardante l’educazione dei giovani: i fascisti avevano avviato una violenta campagna contro l’Azione Cattolica per tentare di monopolizzare la formazione della gioventù. Pio XI era molto infuriato per questo: “Gli vada a dire (al Duce) che con i metodi che usa e i fini che si propone, mi fa schifo, nausea, vomito…” disse ad un diplomatico italiano. Il papa giunse persino a meditare di rompere i rapporti con lo stato italiano, ma alla fine rinunciò ascoltando il parere di Pacelli che considerava il gesto controproducente. La risposta del pontefice fu comunque molto energica e si riversò nell’enciclica «Non abbiamo bisogno» che denunciava le pretese totalitarie dello stato fascista. «Intanto io darò un giro di vite alla situazione per quanto riguarda le scuole cattoliche condotte dai religiosi. Tutto questo sul piano tattico, mentre sul piano strategico manterremo la nostra linea di perfetta osservanza religiosa e di rispetto nei confronti del papa» dichiarò macchialevicamente Mussolini dopo l’uscita del documento papale.

Se lo scontro riguardante sull’Azione Cattolica trovò infine un compromesso tra le due parti, non fu invece così per quanto riguarda un altro dissidio: le leggi razziali. Pio XI guardava con sfavore all’alleanza tra il duce e il dittatore tedesco a causa delle vessazioni operate contro i cattolici in Germania e fu enormemente contrariato quando Mussolini emanò anch’esso nel ’38 una legislazione antiebraica di stampo razziale. È stato sostenuto da alcuni che all’epoca la Santa Sede manifestò un riservato silenzio finendo per accettare la legislazione antisemita, eppure fu proprio quest’ultimo atto che provocò un dissidio insanabile tra il papa e il regime fascista in quanto veniva considerato un vulnus inferto al concordato (erano infatti vietati i matrimoni misti anche se il coniuge ebreo era convertito al cattolicesimo). Pio XI si esprimete in maniera profondamente negativa riguardo ai razzismo fascista:  «Ci si può chiedere come mai, disgraziatamente l’Italia abbia avuto bisogno di andare a imitare la Germania!»,  «Il razzismo è un errore che raggiunge i gradini alti degli altari perché intacca la dottrine cattoliche» dichiarò, ma Mussolini fece sapere di essere ormai intenzionato a tirare dritto con la questione razziale e lanciò strali furibondi contro Pio XI: «Io non sottovaluto la forza del papa; ma lui non deve sottovalutare la mia. Basterebbe un mio cenno per scatenare tutto l’anticlericalismo di questo popolo, il quale ha dovuto faticare non poco per ingurgitare un Dio ebreo» disse a Galeazzo Ciano. Al genero confidò anche di essere intenzionato a lanciare un ultimatum alla Chiesa: «Contrariamente a quanto si crede, io sono un uomo paziente. Bisogna però che questa pazienza non mi venga fatta perdere, altrimenti agisco facendo il deserto. Se il Papa continua a parlare, io grato la crosta agli italiani e in men che non si dica li faccio tornare anticlericali. Al Vaticano sono uomini insensibili e mummificati. La fede religiosa è in ribasso: nessuno crede a un Dio che si occupa delle vicende personali dell’agente di polizia fermo nell’angolo del Corso» (citazioni prese da A. Spinosa, Mussolini, Milano 1992 p. 343).

Il papa era intenzionato a compiere due azioni che avrebbero forse potuto modificare enormemente il rapporto tra la Chiesa e i regimi nazifascisti: la redazione dell’enciclica contro il razzismo «Humani Generi Hunitas» e un discorso severo contro il fascismo e il nazismo da pronunciare il giorno del decennale dei Patti Lateranensi. Entrambe queste iniziative non furono però infine attuate a causa della prematura morte del papa avvenuta il 10 febbraio 1939. Su questo fatto è nata anche la leggenda che Pio XI fosse stato in realtà ucciso dal suo medico Francesco Petacci (padre dell’amante di Mussolini) su ordine del duce proprio per evitare che il papa pronunciasse quel discorso. La tesi è sicuramente da scartare, ma come in ogni leggenda anche questa contiene un barlume di verità dato che il duce accolse con sollievo la notizia della scomparsa del pontefice al punto che commentò: «Finalmente è morto quest’uomo dal collo rigido» (sull’ipotesi dell’assassinio di Pio XI cfr. Guseppe Di Leo, Pio XI ucciso da Mussolini?, Il Riformista 16 luglio 2005).

Nonostante il successore di Achille Ratti, Pio XII, fosse ben più “diplomatico” rispetto al suo predecessore, non mancarono però anche con esso dei dissidi avvenuti con il regime riguardanti stavolta l’entrata nella seconda guerra mondiale. Pacelli operò affinché l’Italia restasse estranea al conflitto, ma il capo del fascismo era fermamente intenzionato ad entrare in guerra per spartirsi il bottino convinto dalle rapide vittorie tedesche che il conflitto si sarebbe presto concluso e fu notevolmente irritato dagli appelli per la pace del papa: «C’è un campo di concentramento anche per il vecchio del Vaticano, se non la smette di piatire per la pace» giunse ad affermare. Anche negli anni seguenti il duce si lasciò andare a commenti anticlericali virulenti come quelli pronunciati negli anni giovanili: ad esempio, Galeazzo Ciano annotava il 22 dicembre 1941 sul suo diario che Mussolini “si era scagliato contro il Natale. Si sorprende che i tedeschi non abbiamo ancora abolito questa festa che «ricorda soltanto la nascita di un ebreo che regalò al mondo teorie debilitanti e svirilizzatrici e che ha particolarmente fregato l’Italia con l’opera disgregatrice del papato»” (G. Zagheni, La croce e il fascio, Torino 2006 pp. 260-261).

Tuttavia, c’è chi ha parlato di una sua conversione religiosa al cattolicesimo negli ultimi anni della sua vita dopo il suo arresto nel 1943. Effettivamente, la caduta ha probabilmente fatto emergere nel fondatore del fascismo dubbi e domande sul destino ultimo dell’anima, ma storici come Renzo De Felice e Denis Mack Smith hanno escluso l’ipotesi di una sua conversione e del resto, non va dimenticato che negli anni della Repubblica di Salò Mussolini appoggiò l’opera di don Tullio Calcagno, sacerdote che minacciava uno scisma dalla Santa Sede a causa del mancato appoggio del Vaticano alla Repubblica Sociale Italiana.

Ha  scritto giustamente Armando Carlini sulla politica religiosa di Mussolini: «è vero che con lui il nome di Dio risuonò , forse per la prima volta, solenne e ammonitore nella grigia aula del parlamento. E’ vero che si deve a lui la distruzione in Italia della Massoneria e la Conciliazione con il Vaticano. Ma queste imprese non furono da lui eseguite, e di fatto giustificate, con ragioni che non fossero essenzialmente politiche e sociali». Un approccio dunque materialista e calcolatore che a lungo andare però sarebbe andato a cozzare, come infatti è successo, con la vera anima del fascismo fondata sul nazionalismo esasperato e sul controllo totalitario della società.

Mattia Ferrari


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