L’ora in cui non sapevamo niente l’uno dell’altro, di Handke Peter

Da Flavialtomonte

Con la mia playlist di musica leggera in cuffia, torno a scrivere qualcosa di familiare.
Per questo tipo di racconti preferisco le dirette, in mancanza delle quali mi affido alla memoria emotiva – già arrossisco, sarà il caldo? Sì, è la sciarpa che ho al collo! – e non è facile far rivivere gli eventi della vita (vedi Stanislavskij).
È molto più semplice usare fotografie per ricordare, che in questo caso saranno solo lo strumento per il nostro fine. Niente di più.
Inizia tutto da quel palcoscenico e da un filo di musica che si dissolve nell’aria, regressivamente. L’impegno e la fatica fanno da specchio all’anima che viaggia nello spazio. Lentamente, in crescendo. L’energia del corpo esplode dentro rapidi gesti, una danza di azioni fini a sé stessi. Quella forza inconsulta che sgattaiola appena può senza dire niente. Niente. Neanche un segnale, solo una forte emozione che lì trova rifugio. L’atto di agire. Perché arte è fare prima ancora di essere.
Parte tutto da una convulsione di movimenti a volte decisi altre volte instabili, incompleti. Si fermano, osservano, si rilassano riassestando il proprio asse e si preparano al lancio. Prende forma ogni cosa, dalle sembianze della compiutezza stessa. Un gioco scenico, come quello di Handke Peter in “L’ora in cui non sapevamo niente l’uno dell’altro“.

Drammaturgo e sceneggiatore di testi teatrali e cinematografici, Handke Peter è prima di tutto scrittore di questo racconto. Un atto senza parole, un happending muto, un casuale anti-spettacolo, in una giornata qualsiasi, in una piazza qualsiasi attraversata da persone qualsiasi. Decine e decine di individui – di epoche diverse – fini alle loro caratteristiche essenziali ed esistenziali che finiscono per sfiorarsi e incontrarsi in una fenomenologia umana, come quella cara a Handke tra corridori e camminatori.
Un vero e proprio teatro quotidiano nel quale la finziona si confronta con la scrittura impegnata a rappresentare gli spietati o esilaranti momenti della vita attraverso l’incantevole vitalità scenica del teatro.
L’opera – che ha interessato i maggiori teatri europei da Vienna a Berlino fino a Londra con registi come Claus Peymann, Luc Bondy e James Macdonald – è il contrasto tra realtà e finzione, il potere centrale dell’esserci. Il movimento o pure la semplice scenica come punto cardine della magia spettacolare. Senza di quello non c’è teatro.


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