Ieri è ricominciata la scuola. Un evento ciclico che però ogni volta tendiamo ad enfatizzare sotto il segno della rottura e quindi – a seconda del punto di vista – a caricare di toni eccessivamente speranzosi oppure di preoccupata rassegnazione. Con ciò, come spiacevole conseguenza, perdiamo l’esatta percezione di quel che costituisce la quotidianità scolastica, della quale continuano così a non essere riconosciuti meriti e difetti.
Ecco allora comparire all’orizzonte soluzioni spacciate per miracolose, inversioni di rotta proclamate da chi ricorrerebbe sempre e comunque ad interventi “straordinari” e “sistematici”. Salvo poi verificare, al giro seguente, che le resistenze erano più dure del previsto o che, addirittura, il rimedio si è rivelato peggio del male.
Per recuperare il senso positivo di una simile “quotidianità” vorrei richiamare alla memoria un vecchio film che, sebbene in modo romantico e attraente, ci propone anch’esso l’ennesima situazione limite. Si tratta del celebrato “L’attimo fuggente”, del regista Peter Weir, portato al successo grazie all’interpretazione del compianto attore Robin Williams.
Chi ha amato quel film sarebbe sicuramente restio a dare ragione all’ottuso preside del collegio di Welton, il quale – come noto – allontana il rivoluzionario professor John Keating perché ritenuto responsabile di aver spronato un allievo a seguire le sue inclinazioni artistiche fino al punto da porlo in un insanabile contrasto con le aspirazioni del padre. Ma siamo davvero sicuri che anche Keating non abbia in realtà scambiato la scuola per una palestra di idealismo palesemente inadeguato a migliorarne il contesto? Insomma, le teorie letterarie di Jonathan Evans Pritchard erano ridicole e andavano senz’altro decostruite, ma per farlo occorreva fondare una setta nel nome di Walt Whitman, come accade nel film? Talvolta non è necessario combattere il grigiore che ci circonda spargendo intorno, senza pensare alle conseguenze, potenti pennellate di tinta accesa. Inoltre, sono proprio le rivoluzioni più roboanti, soprattutto se limitate al loro annuncio, a rendere impossibili le piccole riforme delle quali avremmo bisogno e a vanificare quei progressi che sono effettivamente alla nostra portata.
Credo pertanto sarebbe meglio tornare a esaminare la scuola a partire dalla sua specificità ordinaria, congedando l’attitudine a vederla come un territorio nel quale si affrontano eroi negletti o fannulloni imboscati. Alle parole di visionari e burocrati, che pretendono di insegnare agli insegnanti il loro mestiere, continuo a preferire quelle di chi, giorno per giorno, entra in classe cercando di aiutare concretamente gli studenti ad avere maggiore fiducia e migliori strumenti per costruire il proprio futuro.
Corriere dell’Alto Adige, 9 settembre 2014