Se c’è una cosa che non viene perdonata ad un docente universitario di Storia delle Religioni è questa: avere una visione spirituale della vita, che si traduce in un’immedesimazione simpatetica con l’oggetto di studio.
Se a questo si va a sommare l’essere “dalla parte sbagliata”, il quadro è completo. La demonizzazione e l’ostracismo di gran parte dei colleghi – per giunta invidiosi – e di gran parte del cosiddetto “mondo della cultura” sono assicurati.
E cosa importa se il reprobo conosce decine di lingue, alcune tra le più ostiche ed impenetrabili, sapendosi tra l’altro esprimere oralmente in idiomi assai lontani in occasione di convegni e conferenze internazionali…
Roba da lasciare di stucco gli astanti, per non parlare degli studenti, naturalmente i meno superficiali, letteralmente ammaliati dal “sacro fuoco” della Conoscenza che promanava dal conte Pio Filippani-Ronconi.
Filippani-Ronconi (1920-2010) non era uno semplice studioso delle religioni, o meglio delle dottrine e, soprattutto, delle discipline orientali come tutti gli altri.
Era L’Orientalista guerriero, come viene ricordato in un “omaggio” curato da Angelo Iacovella e pubblicato dalle Edizioni Il Cerchio di Rimini.
“Orientalista”, perché stiamo parlando dell’autore d’importantissimi studi sul Buddismo, l’Induismo, lo Yoga, il Pensiero cinese, l’Ismailismo, lo Zoroastrismo… Nonché di traduzioni di testi sacri e sapienziali delle suddette tradizioni. Ma non solo.
Proprio perché in Filippani-Ronconi era costantemente presente l’anelito a rivitalizzare – penetrando l’oggetto di studio – un’esperienza “mistica” alla portata dell’uomo occidentale contemporaneo e a riprodurre quindi la condizioni adatte per una sua specifica “via realizzativa”, egli si dedicò anche alla comprensione della spiritualità, della visione del mondo, dei popoli italici pre-romani, come gli Umbri. E, osserviamo di passata, non è senza significato che proprio l’Umbria, abbia dato i natali al Santo patrono d’Italia…
In altre parole, lungi dal voler confinare l’attività di “orientalista” nella palude dell’erudizione fine a se stessa, Filippani-Ronconi ne fece lo strumento per indagare – senza “orientalizzarsi” – le possibilità che le stesse dottrine e discipline orientali potevano offrire a chi, come lui, anelante all’Assoluto, non se la sentiva di “convertirsi”.
In realtà, da quanto emerge anche solo da questa raccolta di saggi e ricordi di chi ebbe la ventura di conoscerlo (1), il Conte, nato in Spagna da antica famiglia aristocratica italiana, seguiva una “sua” via, segnata essenzialmente dall’Ortodossia cristiana e da un ‘sodalizio dell’anima’ con Massimo Scaligero, che aveva – a suo avviso – mostrato delle possibilità più congeniali allo specifico “sentire” degli occidentali, interpretando a sua volta la lezione di Rudolf Steiner.
È noto che – pur non esprimendo giudizi trancianti come per altre correnti “spiritualiste” – Julius Evola non aveva un’eccessiva stima dell’Antroposofia (2), mentre Filippani Ronconi nutrirà sempre un grande rispetto per il Barone, tributandogli un bello scritto nel volume collettaneo Testimonianze su Evola, pubblicato nel 1973 (3).
Quanto a Guénon, prediligendo “la via dell’azione” l’orientalista guerriero si doveva sentire in un certo qual modo distante dalla via tracciata dal metafisico francese entrato in Islam, ma non “convertito” (punto, questo, essenziale per capire la sua “equazione personale”, per dirla con Evola).
Ma al di là di questo, oltre il sentiero indicato da questo o quel Maestro contemporaneo del filone “tradizionale”, resta il fatto che Filippani-Ronconi non diventò mai, pur conoscendolo profondamente e direttamente, un “patito dell’Oriente”, se con “Oriente” s’intende la pura e semplice assimilazione di un’altra “mentalità”. Anche perché – e qui gli non gli si può dare torto – uno non può diventare quello che non è.
Dunque, se occidentali siamo, e tali resteremo, Filippani-Ronconi, abbeverandosi alle fonti della “filosofia perenne” ancora accessibili in Oriente, intendeva trasfondere nuova linfa ad una Tradizione occidentale ancora riattivabile, naturalmente in forme nuove, “sintetiche”, e non seguendo certe mode “neopagane” al limite della ‘archeologia spirituale’ (con tutti i pericoli che ne derivano).
In fondo, il problema se l’era posto anche lo stesso René Guénon, se solo ci si va a rileggere la raccolta di scritti per le riviste “Atanòr” e “Ignis”, pubblicati tra gli anni 1924 e 1925, e che testimoniano – attraverso la collaborazione con Arturo Reghini – la plausibilità della ‘ipotesi di lavoro’ perseguita da chi non vede per gli occidentali altro che l’assorbimento puro e semplice da parte dell’Oriente (4).
Stabilito che per “occidentale” qui non s’intende un equivalente di “moderno”, la ricerca d’una “realizzazione” più adatta alla situazione psichica dell’uomo moderno occidentale è un problema tragicamente concreto che non può essere risolto adottando acriticamente e pedissequamente persino gli usi e i costumi d’altri popoli…
Si tratta in poche parole di trovare un equilibrio, consci tuttavia che gli occidentali (e qui il termine è da intendersi in ogni accezione) versano in un disperato bisogno di aiuto.
Di qui l’interesse di Filippani-Ronconi per l’Oriente e le sue forme del sacro, sempre considerate dal punto di vista archetipico, allo scopo di assorbire gli aspetti vivi ed operativi delle relative dottrine e discipline.
Il problema della rivivificazione dell’Occidente, che da tempo versa in uno stato comatoso e, addirittura, sta contagiando anche l’Oriente, è forse uno dei dilemmi più cogenti della nostra epoca. Se non vi si metterà mano assisteremo infatti ad una china sempre più dolorosa e distruttiva, al termine della quale vi sarà la nostra scomparsa pura e semplice di questa umanità.
Con ogni probabilità, il “problema dell’Occidente” sta iscritto nel destino di Roma. Per questo motivo, Filippani-Ronconi, che considerava l’estinzione del Fuoco Sacro dell’Urbe il prodotto d’un malinteso “Cristianesimo”, esordì nella pugna spiritualis proprio alle porte di Roma, sul litorale di Anzio, inquadrato, giovane volontario, nei reparti d’assalto germanici più spericolati e sprezzanti della morte. Pugnale tra i denti e via, contro i barbari invasori.
“L’orientalista”, dunque, nasce come “guerriero”, non smettendo praticamente mai di combattere. Lo s’intende benissimo dallo scritto, di suo pugno, che chiude il presente libro, intitolato La guerra.
Chi non s’accontenta di una conoscenza superficiale da ostentare in pubblico sa benissimo che “si può affermare di conoscere veramente soltanto ciò che si diventa o ciò in cui ci si trasforma, in virtù di un moto interiore che conferisce alla realtà, altrimenti disanimata, un significato conforme all’io che con essa si congiunge e la fa propria” (5).
Di Filippani-Ronconi, conoscendo egli e l’Oriente e la guerra, si può dire, come minimo, che è stato fedele a questa aurea ed essenziale regola di vita.
Enrico Galoppini
NOTE
1) Per i dettagli dei contenuti del libro si rimanda alla scheda del sito delle Edizioni Il Cerchio: http://www.ilcerchio.it/l-orientalista-guerriero-omaggio-a-pio-filippani-ronconi.html.
2) Cfr. J. Evola, Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, Ed. Mediterranee, Roma 1990, pp. 91-105 (ed. or. 1932).
3) P. Filippani-Ronconi, Julius Evola: un destino. In: AA. VV., Testimonianze su Evola, Ed. Mediterranee, Roma 1985, pp. 118-124 (ed. or. 1973).
4) Cfr. R. Guénon, Il risveglio della tradizione occidentale. I testi pubblicati in Atanòr e Ignis, a cura di M. Bizzarri, Atanòr, Roma 2003.
5) A. Iacovella, Materiali per servire a una “biografia immaginale” di Pio Filippani-Ronconi, a p. 15 del libro che stiamo recensendo.