William Henry Wilkinson in The Chinese origin of playing cards (1) ritenne che le carte cinesi, apparse poco dopo l’invenzione della stampa intorno al X secolo, fossero in realtà vero e proprio denaro, utilizzate sia come strumento di gioco sia quale posta scommessa. Negli anni ‘30 del ventesimo secolo Stewart Culin, direttore del Museo di Brooklin, pubblicò uno studio in cui evidenziava come che le carte fossero presenti in Cina in epoca antecedente al 1100 d.C., sostenendo che quelle europee derivavano graficamente dalla carta moneta in uso al tempo della dinastia Tang (608-908 d.C), sulla quale era consuetudine imprimere le effigi degli imperatori e di altri personaggi di rango. Le carte riportavano tre semi: Jian o Qian (monete), Tiao (stringhe di monete dove per stringa si deve intendere il foro che serviva per appendere le monete e impilarle su una corda), e Wan (diecimila). Oltre a queste carte ve ne erano altre tre singole: Qian Wan (Migliaia di Diecimila), Hong Hua (Fiore Rosso) e Bai Hua (Fiore Bianco). Ciascun seme presentava carte numerali, dal 3 al 9.Il primo riferimento conosciuto riguardante le carte indiane, dette Ganjifa - termine derivante dal Persiano ganjifeh(گنجفه) - che significa carta da gioco, risale ad una biografia di Babur (inizio XVI secolo), il fondatore della dinastia Mughal. Di formato tondo, vi sono raffigurati semi composti da dodici soggetti su sfondi colorati, con puntini dall'1 al 10 e due carte di corte, un ministro o consigliere e un re. Rimane incerto se queste carte abbiamo influenzato quelle mammelucche egiziane o viceversa. Sta di fatto che il primo esemplare conosciuto di carte mammeluche, il cosiddetto mazzo Mulûk wa-Nuwwâb, ora al Topkapi Sarayi Museum di Istambul, risalente al XV secolo, ma identico ad un frammento di carte risalente al XII-XIII secolo, è composto da 52 carte divise in quattro semi: Jawkân (bastoni da polo),Darâhim (denari), Suyûf (spade) e Tûmân (coppe). Ogni seme contiene dieci carte, numerate da 1 a 10 e tre figure (o carte di corte) chiamate malik (re), nā'ib malik (viceré o deputato del re) e thānī nā'ib (secondo o sotto-deputato).Nel sec. XIV le carte da gioco, chiamate dagli Spagnoli naibbe (termine di incerta etimologia) ebbero larga diffusione in Europa. Si può supporre che la loro comparsa sia avvenuta prima della metà di quel secolo, dato che i primi documenti che ne trattano datano alla sua seconda metà. Allo stato attuale l’ipotesi più accreditata fa quindi derivare le nostre carte con i suoi relativi semi, al mondo dei mammelucchi egiziani dal quale sarebbero giunte in Occidente tramite scambi commerciali.La disamina che ci apprestiamo a compiere su una possibile origine latina dei semi delle carte, si basa sulla seguente informazione comunicataci da Fulvio Fava, studioso dell’argomento: «Nella monetazione romana del 2-300 a.C. erano presenti alcune tessere monetali chiamate asse, nello specifico “aes signatum”, di forma rettangolare; queste monete contengono chiaramente le figure dell'asso di bastoni, dell'asso di spade e dell'asso di denari, nonché un vaso che potrebbe aver generato l'asso di coppe. Ora partendo dal fatto che la parola Asso risulta derivare direttamente dal termine latino indicante le monete (addirittura in certe regioni si usa dire "scopa d'asse") occorre domandarsi se in realtà i semi delle nostre carte non derivino dal mondo latino, anziché da quello arabo. È vero che i riscontri storici basati su ritrovamenti di antichi mazzi e la mancanza di documentazioni sull'effettiva precedente diffusione in Italia ci porterebbero altrove, ma è altrettanto vero che, di fatto, è in Italia che si è avuta la prima vera "esplosione" per quanto riguarda la produzione e la varietà di stili. Se osserviamo le più antiche carte piacentine e napoletane (ma anche le attuali) ci accorgiamo che somigliano molto di più alle monete che non alle carte saracene (questo vale sia per gli Assi del tutto simili agli aes signatum che per i semi coincidenti ai disegni dei successivi aes grave); questo mi porta a pensare che altro non siano che una forma di tributo alla storia italiana. Ignoro in che periodo ciò sia accaduto, ma il fatto che i "nostri" semi siano identici a quelli che di fatto sono i prototipi della monetazione romana e di conseguenza le prime monete d'Italia, non può e non deve essere considerato una casuale coincidenza» (2).Venendo ora alla nostra disamina, il Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani (1907) così scrive riguardo l’etimo del termine “asso” o “asse”: “Moneta di rame dal peso di dodici once, ossia di una libbra, che i Romani dissero AS (i Greci ÈIS, dial. doric. ES, dial. tarent. AS) che propriamente significa uno. Essa trae dalla radice indo-europea AK vedere, che è pure nel sscr. AKSA, ÀKSI occhio, onde il senso primitive di occhio (ossia il puntino) deldado e poi il numero uno. Presso i Romani stette a rappresentare l’unità monetaria: onde la voce stessa diede l’idea dell’intiero e si usò per indicare una Università o Totalità di beni. Egli è per ciò che i legali dicono ancora Asse ereditarioper denotare tutta l’eredità…(altri compara AS e AES rame e metaf. Moneta che confronta con sscr. AYAS metallo)”.
Secondo il Pianigiani il termine "asso" deriverebbe quindi da "asse" traendo direttamente origine dall'analogia occhio-puntino e dall'uno del dado, per poi essersi adattato anche all'uno delle carte da gioco. Esiste tuttavia un grosso ostacolo a questa lettura in quanto risulta ormai assodato che aes non deriva da AS ma bensì da AEs, termine con cui venivano indicate le varie leghe di rame (dal sanscrito krsnam ayas = metallo nero, con il quale si indicavano non metalli grezzi ma prodotti di fusione, principalmente il bronzo). Questo toglie ogni valore al collegamento artificioso tra il dado e la moneta romana imponendoci di cercare altre soluzioni: la prima e più evidente ci viene offerta appunto dalle considerazioni di Fulvio Fava "gli assi si chiamano così perchè sono direttamente ispirati alle pre-monete chiamate asse".
Veniamo ora ad indagare quel tipo di moneta chiamata AES, utilizzata dai Romani fin dal governo di Numa Pompilio così come riportato da Plinio (3). Infatti Numa aggiunse alle officine che lavoravano l’oro e l’argento a scopo monetario, anche la lavorazione del rame. Le monete coniate erano da principio di forma quadrata, chiamate later (4) per l’analogia con i mattoni e nello specifico Aes rude in quanto non presentavano alcuna impressione o rilievo. Se le monete d’oro e d’argento con il tempo assunsero forme anche diverse dalla quadrilatera, quelle di rame mantennero la forma primigenia. Plinio scrive che fu Servio Tullio a volere inserire simboli in rilievo in quella tipologia di Aes che venne chiamata per questo Aes signatum: “Servius rex primus signavit aes rudi ante usos romanus Timaeus tradit”. Il termine di Aes grave venne attribuito alle monete di rame sui primordi del quarto secolo, quando queste assunsero forma tendenzialmente circolare a doppio rilievo, con marcati i valori numerici del loro valore legale. Nelle immagini a corredo dell’articolo abbiamo riportato esempi di Aes Grave contrassegnati da questi valori (punti in rilievo), fra i quali diverse figure con vasi/coppe e bastoni.Ritornando all’Aes signatum, le prime tipologie dei rilievi sono rappresentate da tronchi bracciati, cioè da ramoscelli di foglie acute in punta; successivamente comparvero delfini e tridenti assieme a clave e a frasche. In epoca tarda troviamo segni e simboli tratti dalla natura animale (ad esempio buoi, polli, scrofe, elefanti), accanto all’aquila romana e a strumenti d’uso popolari e militari, come vasi e spade. Tutte le simbologie adottate trovano riferimenti nella storia di Roma: ad esempio il bue ricorda il perimetro della città tracciato da Romolo, gli elefanti sono connessi alla guerra contro Pirro così come i suini che, come racconta Eliano nel De Natura Animalium (1,38), vennero usati per spaventare gli elefanti: i maiali una volta coperti di pece venivano dati alle fiamme e i grugniti che ne seguivano spaventavano i pachidermi. Nell’opera Le monete dell’Italia Antica di Raffaele Garrucci troviamo numerosi informazioni che giustificano la presenza dei diversi animali e degli oggetti posti sui diversi tipi di monete dell’Aes signatum e Aes Grave.Riguardo i polli egli scrive: “A felice impresa sembrano alludere i polli augurali in atto di beccare avidamente la polenta e di fare con le briciole di esse cadute sul terreno il tripudium solistimum” (5).La credenza degli uomini del sec. XIV che le carte da gioco provenissero dal mondo arabo trova conferma in diversi documenti del tempo. A titolo di esempio ricordiamo la Cronaca di Viterbo scritta da Giovanni di Juzzo di Covelluzzo che riporta la seguente informazione: “Anno 1379 fu recato in Viterbo il gioco delle carte che venne de Saracinia e chiamasi tra loro Naib”, mentre nell’inventario dei beni dei duca e duchessa di Orleans (Luigi di Valoise e Valentina Visconti) si elenca “un mazzo di carte saracene e un mazzo della Lombardia” (1408). Ovviamente questa provenienza ha una probabilità assai alta. Scrive in proposito il filosofo analitico Carlo Penco: “A favore del fatto che le carte islamiche derivino dalle europee sono solo le date della presenza effettiva delle carte europee (1370) e del riferimento successivo alle carte islamiche (1379). Se si volesse seguire questa strada occorrerebbe ipotizzare di fatto su improbabili ipotesi: 1 - le carte europee avrebbero dovuto diffondersi prima in Persia per passare poi nei paesi arabi in un brevissimo lasso di tempo per ritornare in Europa dopo pochi anni. 2 - Le carte europee avrebbero dovuto essere usate in Europa molto tempo prima del 1370 per potersi diffondere nei Paesi arabi attraverso la Persia. Non solo entrambe le due ipotesi sono altamente improbabili, ma non vi è alcuna minima traccia storica che le giustifichi” (6).Forse allora è possibile ipotizzare che l’Aes, che godette di ampia diffusione in età imperiale (7) al tempo delle guerre con la Persia, abbia assunto una tale popolarità nel mondo mediorientale da suggerire, diversi secoli dopo, i simboli da inserire nelle carte da gioco, dove i punti di valore vennero sostituiti con la raffigurazione completa degli elementi di ciascun seme. Partendo dal fatto che la parola Asso deriva dal nostro latino, l’insieme di queste valutazioni ci porta a considerare l’ipotesi avanzata da Fulvio Fava altamente probabile. Se ciò corrispondesse al vero, il seme di denaro non raffigurerebbe monete ma la figura del Sole che negli Aes si trova costantemente abbinata a quello della Luna.Certamente, al di là della similitudine di alcuni simboli presenti negli Aes con quelli delle carte da gioco, è sorprendente osservare come in molte carte antiche siano state raffigurate figure di animali quali ritroviamo negli Aes, come l'elefante che, dapprima nella collezione Guadagni di Firenze (cosa che potrebbe far presumere un suo ritrovamento in territorio toscano), passò in seguito ad arricchire la vasta collezione del British Museum. Ed è proprio in molti mazzi di Minchiate Fiorentine che si trova raffigurato l'elefante, come risulta da una carta sotto riportata.Note
1- In “The American Anthropologist”, Vol. VIII, January 1895, pagg. 61-78.
2 - Padre Daniel fuuno dei primi sostenitori della derivazione degli Assi dalla monetazione romana. Egli riportò la sua tesi nell'articoloOrigine du jeu de piquet, trouvé dans l’histoire de France,in “Journal de Trevoux”, maggio 1720. Citato da Cesare Cantù, Storia Universale, Volume X, Epoca XI, Torino, 1842, pag. 221-222. P. Daniel sostenne inoltre che il gioco dei tarocchi (Ludus Triumphorum) apparve prima di quello del Picchetto, da lui collocato intorno al 1430. Una tesi che ci trova in perfetta sintonia.
3 -N.H. 1, XXXIII
4 - Varrone,De Vita Populi Romani, pr. Nonio, 2, 481; 12,9. Plinio,H. N.XXXIII, 3,17.
5 -Roma, 1885, pag. 6.
6 - Carlo Penco,I Tarocchi di Dummett, Bozza 1.1.2011, pag. 3-4.
7 - Per i valori minori, si aveva l'asse in rame (10,90 g), i suoi multipli in oricalco, un metallo simile all'ottone, detti dupondio (2 assi) e sesterzio (4 assi); per i sottomultipli si aveva il quadrante in rame (1/4 di asse).
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