L'orologiaio cieco

Da Marcoscataglini

Il tempo, nostro signore e padrone, ci confonde i pensieri, smuove le passioni poi ci lascia esanimi ai bordi delle nostre vite. Un meccanismo di inarrivabile perfezione nella sua crudezza. Siamo solo di passaggio, e ciò che siamo, ciò che siamo stati e ciò che saremo è soltanto un moto passeggero, un brivido sulla pelle della storia. E non lo dico per fare una sorta di "memento mori", ma perché tutto ciò mi affascina in modo irresistibile, da buon "ruins haunter", ossessionato dalle rovine, da quelle testimonianze che - come sostiene anche Marc Augè - sono l'unico modo per fare davvero l'esperienza del tempo, visto che quando siamo personalmente e direttamente coinvolti - e non semplici osservatori - la paura ci confonde i pensieri, e il tempo diventa, a scelta, rimpianto, dolore, paura, o semplice attesa.

Sono riflessioni che a me vengono sempre (sebbene restino sottotraccia) quando visito un luogo come la Mola sul Mignone, a Tarquinia. Un luogo straordinario, a suo modo, con una serie di ponti e passaggi, di sistemazioni idrauliche e di edifici che avevano lo scopo di incanalare la forza del fiume per sfruttarla come energia motrice per molare il grano. Nata nel XVI secolo, la Mola appare oggi in forme ottocentesche, ed è ovviamente in abbandono, da quando il signor Silvio, l'ultimo mugnaio, ne ha chiuso le porte nel lontano 1916, a Grande Guerra iniziata.


Era ed è una struttura possente e importante, visto che serviva un'area vasta e popolata, che comprendeva Tarquinia, Civitavecchia, Allumiere, e anche Monteromano, che aveva comunque un'altra mola, sempre sul Mignone. Quante storie potrebbero raccontarci quei muri umidi e scorticati, ma che resistono tuttavia alle piene del fiume che anche nei giorni scorsi, come si vede dalla foto sopra, ha invaso i locali ancora quasi intatti con le macine e li ha riempiti del suo limo grigio e appiccicoso! Storie di lavoro e fatica, di centinaia di anni di sacchi colmi di granaglie in ingresso, e carichi di farina in uscita, di rumore assordante e grida, imprecazioni, trattative (che a tirar sul prezzo gli italiani son maestri da tempo), di giorni di scoramento per le piene, e di preoccupazione per la siccità estiva, di voli di aironi e marzaiole, di guerre e abbandoni. I non lontani ruderi di Cencelle (dove si rifugiarono in epoca medievale gli abitanti di Civitavecchia) ci ricordano com'era la vita in questa parte di Maremma, tra la malaria e le invasioni dei pirati saraceni...Chiudendo quella porta dietro di sé, il vecchio Silvio ne ha sigillata di memoria! Oggi la porta non esiste più, è stata sfondata dal Mignone in visita. Ma quella memoria è rimasta lì, intatta, e parla a chi sa ascoltarla.

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