Il fine settimana appena trascorso resterà per sempre impresso nelle nostre menti e nei nostri cuori, carico di angosciosi significati ma anche di tristi presagi. Perché se a destare rabbia e commozione sono stati soprattutto i fatti di Brindisi, col sacrificio di una giovane e innocente vita sull'altare della follia umana, e l'ennesimo accanimento della natura sul nostro già martoriato territorio appenninico, altri due avvenimenti passati a torto in sordina ma non meno funesti hanno caratterizzato la vigilia del ventennale della strage di Capaci: i fischi dello stadio Olimpico di Roma all'inno nazionale in occasione della finale di Coppa Italia fra Juventus e Napoli e l'astensionismo record nel turno di ballottaggio delle amministrative che ha lasciato a casa un elettore su due. A conferma che stiamo attraversando sul serio un frangente storico molto simile, sul piano dell'incertezza politica, della sofferenza economica e dell'effervescenza sociale, a quello nel quale fu compiuto proprio il vile attentato che uccise il giudice Falcone.
Le analogie sono in effetti numerose, con l'aggravante che rispetto ad allora il ceto politico non pare rendersi conto delle insidie del momento, sempre aggrappato ai comodi privilegi del presente e sordo alle istanze di equità e cambiamento che, pur se con modalità differenti, provengono dai cittadini. Tanto che mentre la prima repubblica e il torbido sistema di corruttele che essa incarnava dovettero piegarsi alla rivolta democratica delle urne e alla necessaria pulizia della magistratura, inaugurando quasi automaticamente un nuovo corso politico e sociale, oggi la fine indegna della seconda repubblica, partita con mille promesse ben presto tradite, non pare preludere all'inizio di una vera fase di trasformazione.
L'Italia è ferita e incazzata, e fin qui nulla di sorprendente. Ma è soprattutto rassegnata, senza prospettive cui affidarsi per una ripartenza. A causa, di nuovo, dell'assoluta inettitudine di una classe dirigente che per vent'anni ha giocato a darsele di santa ragione, arruolata in squadracce solo in apparenza concorrenti, finendo per danneggiare esclusivamente la comunità nazionale. Non c'è da meravigliarsi, pertanto, se in un quadro profondamente incerto e lacerato trovano spazio sentimenti ostili non soltanto alle degenerazioni della casta e dei poteri forti ma perfino allo stesso tessuto civile e democratico del Paese.
C'è però da reagire e anche in fretta, senza irresponsabili sottovalutazioni dei vari e ricorrenti fenomeni che devono invece suonare come campanelli d'allarme. La bomba alla scuola di Brindisi, che si tratti di stragismo mafioso o di terrorismo politico o anche solo dell'ignobile esaltazione di qualche disperato o malato di mente, è l'apice di tutta una serie di eventi accomunati dal contesto di precarietà economica e di sfilacciamento anche morale della società italiana nel quale si sono determinati. Con gli opportuni distinguo, pure i suicidi e il riproporsi di episodi di violenza ideologica a suon di pallottole e buste esplosive sono segnali inquietanti del disagio e dell'insoddisfazione che attraversano le viscere della nostra società.
Un terremoto, l'altra grave ingerenza dell'avverso destino nella vita degli italiani di questi ultimi giorni, non si può certo prevenire come fatto in sé anche se può e deve essere motivo di prevenzione da parte delle autorità per limitarne gli effetti catastrofici allorquando si verifica. Se distruttivo, un sisma suscita le stesse emozioni forti nell'opinione pubblica di un attentato contro inermi e innocenti creature, specialmente se giovani e in un luogo tradizionalmente protettivo come la scuola. Ma le emozioni non devono incentivare la paura, essere un pretesto per annebbiare ancor di più la mente dinanzi alle sciagure naturali e all'irresponsabilità criminale dell'uomo anzi, devono costituire sempre un punto di svolta, per riflettere e intervenire.
Proprio Giovanni Flacone, ogni volta che Cosa nostra si accaniva brutalmente contro rappresentanti dello Stato e delle istituzioni, ma pure contro persone della società civile che non abbassavano la testa, per darsi forza ripeteva che "chi tace e piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e cammina a testa alta muore una volta sola". Perché in fondo, sono sempre sue riflessioni, "la mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine".
Eccola la fiammella, la risorsa da afferrare con forza per provare a reagire: l'umanità. Che significa anche responsabilità, condivisione, senso di appartenenza a un comune percorso. Perché la mafia, come il terrorismo e come la stessa crisi finanziaria e la conseguente inquietudine sociale in ogni sua forma, sono fenomeni determinati dall'uomo che solo il coraggio e la volontà dell'uomo stesso possono affrontare e risolvere. Una lezione semplice, quella di Falcone, da recuperare proprio ora che tutto sembra più arduo e la speranza cede il posto alla rassegnazione. E per imparare a riconoscere innanzitutto i più piccoli indizi di angoscia e di malcontento, quelli meno eclatanti ma che di solito, se trattati con indifferenza, anticipano fatti più drammatici.
E' per tale ragione che personalmente, pur avendo come tutti l'animo in pena per le popolazioni emiliane colpite dal recente sisma e per il crudele assassinio di Brindisi della giovane Melissa, ricorrerei a quel coraggio della responsabilità e del dovere che ha caratterizzato la vita professionale di Giovanni Falcone per non trascurare nulla di una crisi di sistema, nemmeno i fenomeni ritenuti "minori", perché è nei dettagli che si annida il male. E' uno sforzo necessario soprattutto nell'attuale fase di smarrimento collettivo in cui molti, come le ultime settimane dimostrano, puntano a forzare ulteriormente il processo di destabilizzazione in atto. E allora, superato lo choc per i morti, è bene occuparsi dei vivi e rimuovere le cause che li inducono ormai in numero sempre maggiore a inveire contro le istituzioni, irragionevolmente confuse con la piaga della partitocrazia e con gli abusi del potere.
Francamente, gli inammissibili fischi di Roma all'inno di Mameli mi spaventano assai più che la mafia e il terrorismo, così come la circostanza che circa la metà degli italiani aventi diritto al voto ha deciso di non recarsi alle urne in occasione dei ballottaggi lasciando che a divenire decisiva ai fini della scelta di tantissime amministrazioni locali fosse una minoranza di cittadini vogliosa in larga misura di soddisfare i propri impulsi antisistema e non di decidere secondo ragione da chi essere governata. Si obietterà che il malcontento indiscriminato, anche quando espresso nella cabina elettorale o ricorrendo allo strumento dell'astensione, non è colpa dei cittadini ma della cattiva politica che per anni si è rivelata incapace di ascoltarlo ed è senz'altro vero. Ma quando le manifestazioni di dissenso divengono a tal punto irrazionali da colpire addirittura simboli sacri della nostra identità nazionale o da minare alle fondamenta i cardini della nostra civiltà repubblicana, esse finiscono involontariamente per donare linfa vitale proprio a nemici della democrazia quali la mafia e il terrorismo sicuramente sono.
I penosi commenti ai risultati del voto amministrativo offerti dai leader e leaderini della partitocrazia autoreferenziale e senza partiti della fallimentare seconda repubblica, confermano che ci troviamo in un limbo pericolosissimo: fuori da un ciclo già da mesi conclusosi indegnamente con la resa del berlusconismo, ma ancora senza uno straccio di alternativa credibile - responsabile e di governo - all'orizzonte. I soliti protagonisti dell'agone politico sono tutti lì a rivendicare vittorie inesistenti o a fornire giustificazioni improbabili a cocenti sconfitte, mentre a gongolare è un paffuto e riccioluto ex comico nazional-popolare che può a ragione permettersi di deridere un'intera classe politica che, come lui stesso evidenzia, dovrebbe paradossalmente essergli grato per avere (finora) evitato che il grande vuoto di rappresentanza democratica venisse coperto dall'avanzata di movimenti estremisti come in Grecia ed altrove.
Ebbene sì, grazie Grillo anche da parte di chi, come me, non si sognerebbe mai di votarti. Grazie perché in fondo stai offrendo a quel che resta dei partiti italiani un'ultima chance di riorganizzarsi e di riformarsi. Da qui alle elezioni politiche ci sono dieci mesi da non sprecare producendosi in ulteriori ed ipocriti bluff, in codardi scaricabarile, in sterile propaganda, in miseri tentativi di maquillage. Tralasciando quelle personalità politiche non animate da concrete aspirazioni di governo, i vari Alfano/Berlusconi, Casini, Fini e Bersani - sì, anche Bersani - sono tutti dei perdenti (chi più e chi meno) non per il fatto di sostenere responsabilmente il governo Monti ma perché nella percezione della gente incarnano il più buio periodo della nostra vicenda repubblicana. Hanno quindi il dovere morale di prendere atto del proprio fallimento e di redimersi, lavorando senza tregua per favorire davvero la nascita della terza repubblica.
Il Paese, riappropriandosi dell'insegnamento di Giovanni Falcone che in queste ore viene ricordato, può abbandonare la disperata rassegnazione e riprendere a camminare "a testa alta", ma molto dipende proprio dai bistrattati politicanti dell'ultimo ventennio. Dunque, la smettano di fingere di essere partiti veri e di inseguire consensi che non avranno più e aiutino Monti a non farci crollare, riformino la legge elettorale, approvino il provvedimento anticorruzione, rinuncino ai finanziamenti pubblici! Altrimenti, senza opzioni politiche e piattaforme di governo affidabili pronte a farsi carico dei problemi degli italiani, fra un anno saremo tutti costretti a turarci il naso e a tifare Grillo, per non lasciare che il Paese rischi di cadere nelle mani di chi ne farebbe scempio.