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Russia, Venezuela e Iran, sono convinti che il prezzo del petrolio sceso così in basso, sia conseguenza di un piano dell'Arabia Saudita, ordito insieme all'alleato occidentale (l'America, of course), per indebolire i nemici geopolitici.
A qualcuno sembra una roba paranoica, ad altri plausibile: Russia e Occidente si trovano ai lati opposti della barricata su diverse questioni internazionali (Siria e Ucraina le maggiori), e dunque anche gli alleati mediorientali di America&Co, stanno lavorando per fiaccare l'Orso russo (e pure l'Iran, già che ci sono) sul terreno, vitale, delle esportazioni energetiche.
Quelli che trovano il tutto materia per complotti, sostengono – in linea con quanto scritto giorni fa dal Wall Street Journal – che invece il calo del prezzo del petrolio (il Brent arrivato sotto i 60 dollari al barile, contro i 100 di quest'estate), è dovuto a qualcosa di opposto all'alleanza americani-sauditi. Secondo vari analisti del settore infatti, a Riad starebbero pensando di tenere basso il valore addirittura per impedire lo sfruttamento dei giacimenti statunitensi del Texas e del North Dakota. Luoghi da dove prima non si estraeva petrolio, ma che adesso forniscono shale oil – intrappolato tra gli shale rocciosi –, materiale la cui convenienza estrattiva è tale se il prezzo di vendita dell'oro nero resta sopra una certa soglia.
I sauditi temono che gli Stati Uniti possano iniziare una forte esportazione – resa tale anche dal peso geopolitico di Washington – che possa provocare la contrazione del proprio mercato e del proprio potere. Per questo non hanno tagliato la produzione – soluzione utilizzata di solito in casi in cui precipita il prezzo, per permettere alla legge domanda/offerta di risistemare le cose. Insomma, tutto l'opposto del piano tra alleati: anzi, se fosse vera questa ipotesi, si tratterebbe della fine definitiva dei rapporti tra Usa e Arabia Saudita. Rapporti, che a dire il vero, è da tempo che si stanno deteriorando.
Far scendere il prezzo fino a livelli indeterminati, per vedere fin quanto è sostenibile l'estrazione dello shale oil americano, può essere un test duro sia per Washington che per Riad (tra gli influenti del regno c'è molto nervosismo), ma secondo gli esperti entrambe le realtà possono comunque continuare a sopravvivere: i sauditi hanno riserve, gli americani hanno potenzialità per estrarre fino a scendere sotto la soglia dei 40 dollari al barile. Ma i russi?
L'economia di Mosca, piano o non piano, con ogni probabilità non reggerà lo stress tanto a lungo. Putin, è ancora preso da esempio da qualche sghembo leader politico (o wannabe) occidentale, ma la sua nazione, che punta molto del proprio bilancio sugli incassi dalla vendita delle risorse naturali, è messa male.
Non bastasse il petrolio, a inizio dicembre il presidente russo ha dovuto ammettere pure la fine del progetto del gasdotto South Stream – con il quale la Gazprom avrebbe dovuto trasportare gas naturale dalla Russia all'UE. Dopo lo stop imposto dalla Bulgaria e per via delle divergenze tra Mosca e Bruxelles (e delle sanzioni) tutto è saltato.
Così, in nome della diversificazione dell'energia (l'Italia di Renzi in meno di dieci mesi ha preso contatti con tutte le capitali dell'energia asiatica, dal Turkmenistan, al Kazakistan, all'Azerbaijan), la Russia si trova ancora più marginalizzata.
Ormai i contatti occidentali di Putin sono rimasti pochissimi. A parte Matteo Salvini, istrionico turista moscovita qualche settimana fa e poco solido e credibile appoggio (tirato stancamente in ballo dai commentatori nostrani ogni volta che Putin fa qualche porcata), il presidente russo punta molto su Marine Le Pen e il suo Front National.
Tra Francia e Russia corre l'affare della due portaelicotteri Classe Mistral di cui Parigi ha bloccato la consegna – causa sanzioni – e di cui invece Mosca rivendica il rispetto contrattuale. Le Pen guida un gruppo di pressione francese composto anche da manager di altissimo livello (come il capo di Edf Henri Proglio e quello di Total, Cristophe de Margerie, morto in un incidente proprio a Mosca poco tempo fa) che vuole portare a termine l'affare.
La leader di FN si muove anche per onorare il prestito che le banche russe hanno erogato al proprio partito – che in Francia sta prendendo sempre più consensi. Sa che sbloccare il passaggio delle due navi, significherebbe un po' sbloccare la morsa che stringe la Russia. Ma ha grosse difficoltà.
Secondo un articolo informato del New York Times, anche la Germania – lo stato che dopo la guerra fredda ha investito più di tutti gli altri in Russia – si sta disinnamorando di Mosca. La scorsa settimana è saltato un importante accordo tra il gigante tedesco dell'industria chimica Basf, e Gazprom.
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