Dopo le ragioni per non firmare gli appelli, vi segnalo oggi un articolo di Roberto Saviano del 21 giugno 2003, quando il celebre blog Nazione Indiana esisteva da pochissimi mesi.
Qualcuno mi ha chiesto perché replicare articoli della blogosfera, se abbia senso farlo.
Credo di sì, credo anzi che sia fondamentale nella storia di un blog, non soltanto per creare collegamenti e associazioni, non soltanto per riportare alla luce impressioni e spunti e idee, anche per dardeggiare l’insana velocità che i blog rincorrono, bastano pochi giorni e tutto è fagocitato dagli archivi e dall’oblio. La degenerazione – da questa prospettiva – è Facebook, pensate alle bacheche, poche ore e ogni fraseemozionepensiero scende, scende, scende, e scompare. Una scomparsa di sostanza, non di forma, chi fra i lettori dei social network andrà più a cercare che cosa Tizio scriveva il 6 luglio del 2010?
Si produce e si dimentica, si genera e si distrugge con una celerità impressionante. I blog, seppure con modalità più deboli, vivono il medesimo iter. E là nell’oblio o negli archivi vi sono articoli che annullerebbero tante parole scritte successivamente, o le donerebbero un contesto almeno.
Vi invito quindi a leggere le parole di Roberto Saviano, quando era un ragazzo di 23 anni e ancora non si conosceva quanto poi sarebbe accaduto dopo la pubblicazione di Gomorra.
Buona lettura.
***
Un sogno leghista
di Roberto Saviano
“Spara, spara!”
“Ma a chi cazzo sparo, è notte, qui è tutto nero.”
“Appunto: spara dove vedi nero, più nero è, più spara! Muoviti che scappano, muoviti che li perdiamo, spara.”
E io inizio a sparare con un mitra installato a prua della nave. Sparo ai gommoni, alle zattere, ai ragazzini che cadono in acqua, sparo alle arrugginite navi, agli scafi sfasciati, alle famiglie maghrebine, agli uomini nigeriani.
“Sì, sparali tutti, dài, fai sparare anche un po’ a me.”
Lascio spazio al mio superiore, inizia a far schizzare l’acqua di colpi.
“Via mangiatori di lavoro, prostitute che guadagnano sui nostri piaceri, spacciatori, usurpatori di case, profanatori di chiese, orinatori di crocifissi, morite, cani!”
Mi guardo in uno specchio della nave, ho la divisa dell’Armata Padana della Repubblica del Nord, l’APRN. Sono un sottufficiale. “Agli ordini,” devo rispondere.
“A lavorare, padano – mi dice il superiore – non fare il meridionale, spara, spara, o non avrai più lavoro.”
Riprendo il mitra, inizio a sparare ai superstiti, quelli che si sono aggrappati agli pneumatici di salvataggio.
“Spara ai pneumatici così li fai morire affogati, imparano la prossima volta a venire a rubarci il lavoro e il nostro benessere! Ladri!”
Li abbiamo fatti fuori tutti, ci dice il capitano: “Trecento più qualche ragazzino. Dovremmo arrivare a trecentotrenta extraumani, bel lavoro ragazzi!”
Mentre la nostra nave sta tornando nel porto nordico, passiamo vicino a alcune spiagge siciliane:
“Spara ai pedalò, spara ai pedalò.”
“Ma come – dico – mi sembrano bagnanti italiani, non posso.”
“Spara, cazzo! Questi sono meridionali, fanno il bagno mentre al nord lavorano, mentre i nostri compatrioti sgobbano in fabbrica, vicino alla pressa, al fianco delle vacche, spara! Spara al terrone che mangia sul nostro sudore!”
Tratatatatata, inzio a sparare contro i pedalò, ne faccio fuori dieci.
“Bravo, soldato padano, così imparano questi turisti meridionali a godere alle nostre spalle. Bastardi!!”
Finalmente approdiamo nel porto nordico. Scendiamo. Ci sono festoni, fuochi d’artificio e migliaia di compatrioti in verde: “Viva l’armata del nord, morte al sud, ai negri, ai miserabili!” Tutto il nostro equipaggio si avvicina alla dirigenza. Ci sono tutti, ma è il gerarca maggiore, Umberto Bossi che mi avvicina e dice:
“A te, suldà del nord, te demo quest’onoreficenza, perché più di tutti li suldà del nord hai sfracagnato, sgozzato, ammazzato i negher, i negri, gli arabi, gli africani, gli albanesi appestati che vengono qui, rubano, stuprano e pisciano vicino alle nostre chiese! A te soldato clemente che a differenza dell’americano hai ucciso il negro quando stava per emigrare cioè rubare, e non quando stava a casa sua! Questo ti fa onore, perché significa che sei buono e clemente! Evviva il massacratore, evviva l’Armata del nord!”
Io tremavo, avrei dovuto dire che ero nato a Napoli, da madre ebrea e padre vesuviano… Mi avrebbero impiccato però.
“Eccoti la medaglia, suldà! La medaglia dell’ordine padano del Brambilla, anonimo e laborioso industriale che seppe non contaminarsi con la cultura, con i terroni e con i negri. Che ha avuto decine di auto, tre mogli, cinque figli e soprattutto non è mai sceso al di sotto di Mantova!” Bossi mi decorò al valore, e lui stesso mi appuntò sul petto la medaglia.
“Evviva l’ordine del Brambilla! Evviva il nord! Evviva il lavoro!” Gridavano tutti, poi la folla entusiasta iniziò a lanciarmi in aria. Una, due, tre, quattro volte, ma alla quinta persero per stanchezza o ubriacatura la presa e finii per terra.
Proprio mentre stavo battendo la testa sul selciato, mi sono svegliato all’improvviso. Completamente madido di sudore, la fronte unta, il letto inzuppato. Era solo un incubo, sono ancora al sud, non ho nessuna divisa. Ho la bocca amara e la lingua incollata al palato, dev’esser stata la maledetta impepata di cozze che ho mangiato a Posillipo ieri sera. Mi ha alterato l’apparato cognitivo, i polipetti all’insalata si sono incastonati tra la memoria ed il ricordo, le alici marinate hanno tappezzato il mio sistema nervoso centrale. Beh era solo un sogno, meno male. Ho la pancia piena d’aria malsana. Stamattina andrò a Sorrento a farmi un bel bagno meno male che sto a sud…
Appena apro la finestra invece, sotto casa mia vedo un marasma di bandiere verdi, di inni, va’ pensiero. “Roma merda! Forza Etna, Forza Vesuvio! Fuori i negri dalla Padania! Imam, vi strapperemo la barba riccia e ve la ficcheremo nel culo!” La faccia di Maroni sulle magliette a sfondo verde, come un Che Guevara leghista, i profili affiancati di Bossi, Castelli e Speroni sulle bandiere dei grandi maestri padani, in stile Marx, Lenin, Mao.
Che succede!? Maledizione, anche al sud i leghisti? Cazzo, non è possibile. C’è una contraddizione di sistema.
Giù vedo anche Ciro, il mio amico simpatizzante anarchico, incredibile! “Robè, scendi, – mi dice – abbiamo scoperto che anche noi siamo nord!”
Io non rispondo, sto zitto, continuo ad innaffiarmi i piedi del mio sudore grondante.
“Sì, scendi, manifesta, noi siamo i polentoni dei tunisini, dei marocchini, dei libici, dei siriani, anche noi possiamo avere l’autonomia, anche noi possiamo sparare a tutti, non siamo più terroni, anche noi siamo nord, anche noi siamo ricchezza, non puzziamo più, non puzziamo più. Siamo nord, noi, diamo lavoro, noi!”
Scendo giù, sono sicuro che è tutto uno scherzo, invece sento Borghezio che sul palco della piazza di Caiazzo, un minuscolo paesino del casertano, sbraita:
“Padani d’Italia, uniamoci, debelliamo la lingua romana! Il lombardo, il bergamasco, il veneto, dovranno essere le nuove grammatiche della civiltà della ricchezza, delle villette, dei valori cristiani. Amici terroni, oggi i padani vi battezzano con le acque del Po ed i sacri liquidi del segretario Bossi, da oggi voi siete nord della grande malattia continentale chiamata Africa. Da oggi anche voi lavorerete venti ore al giorno, vivrete con i fucili dentro casa e potrete sparare ad ogni albanese e negro del cazzo. Oggi siete a pieno titolo Padani!”
E la piazza, urlante iniziò: “Viva il nord, Viva il nord, Viva Verona, Viva Vercelli, Viva Pontida, Bergamo capitale!”
Torno a casa, m’infilo sotto la doccia gelida, esco ancora nudo fuori al balcone, spero di svegliarmi. Invece, ancora bandiere verdi…
Spero che tra poco suoni la sveglia, l’avevo programmata per le dieci e trenta, mi sveglierò ed a Sorrento ci andrò subito. Spero.
[Fonte originale Nazione Indiana]