L’articolo apparso sul sito de “La Stampa”, a firma di Giuseppe Granieri, intitolato Gli autori e la catena alimentare dell’editoria, mi ha obbligato ad almeno un minuto di sana riflessione.
Innanzitutto ho pensato a quale fosse la sede più indicata per pubblicare questo post, se qui o sul più noto blog “Sul Romanzo”, con il quale ho una strettissima collaborazione, e alla fine ho optato per questo spazio.
Il mercato editoriale vive, in questi ultimi anni, una stagione di cambiamenti che sta destabilizzando vecchie logiche ed equilibri ormai consolidati da tempo. Dagli Stati Uniti d’America all’Australia si assiste alla lenta agonia di grandi catene librarie che costituivano il fulcro del commercio di libri tradizionale. Gruppi come Barnes&Noble o Borders Books o, ancora, gli australiani Angus&Robertson si sono trovati costretti a chiudere molti dei loro punti vendita per far fronte alla crisi che si è abbattuta su tutto il settore e non solo.
Molti analisti dell’ultim’ora hanno attribuito le cause di questo lento e apparentemente inesorabile declino alla nascita e alla commercializzazione degli eReader e al costante proliferare di eBook (anche realizzati in barba alle leggi sul diritto d’autore). Questa, in tutta onestà, mi sembra una spiegazione molto semplicistica, che non tiene conto della complessità del mercato di cui si sta discutendo e, soprattutto, che punta solamente a identificare un capro espiatorio contro il quale scagliare l’ira funesta di editori e librai.
Il problema sta veramente nelle nuove tecnologie? o, piuttosto, risiede nell’incapacità di un gruppo di imprenditori di affrontare il cambiamento in atto?
Se in realtà la questione della difesa dalla pirateria fosse soltanto un modo per coprire la incompetenza manageriale di questi soggetti?
Ogni nuova tecnologia che viene immessa nel mercato ha bisogno di un po’ di tempo per essere compresa e per essere sfruttata pienamente. È successo con in cinema, con la radio, con il televisore e, ancor prima, con il libro (stampa a caratteri mobili, per essere precisi). Il mondo subisce l’impatto del nuovo strumento e, a poco a poco, lo assorbe, lo addomestica, lo piega alle proprie esigenze.
Tentare di fermare l’evoluzione è come mettersi di fronte a un treno in corsa e sperare di fermarlo a mani nude. È necessaria un’analisi approfondita del mezzo e del mercato per riuscire a comprenderne i punti di forza e di debolezza, le minacce e le opportunità (quella che nel marketing si chiama “analisi SWOT“). Chi effettua l’analisi più dettagliata avrà maggiori possibilità di riuscita nel panorama della competizione perché conoscerà il mercato e sarà in grado di sfruttare in anticipo ogni stimolo che da esso può arrivare. Al contrario, ci si troverà in balia degli eventi, senza riuscire a tenere dritta la barra.
Come ha sostenuto Paul Raven, cercare di impedire la diffusione dei libri “pirata” è futile, giacché impossibile. Così come è impossibile fermare la circolazione peer to peer della musica digitale (e di questo, ormai le case discografiche sono consapevoli). Semmai, la sfida è quella della creazione di valore aggiunto, di competizione in termini di prezzo e prodotto.
Quello che ha sostenuto Margaret Atwood nel suo intervento al Toc-Tools of change for publishing va proprio in questa direzione. Il mercato editoriale non ha il suo cuore in uno strumento, che può essere il libro, l’eReader o l’iPad o qualunque altro marchingegno sarà immesso nel mercato nei prossimi anni, ciò che rappresenta la linfa vitale dell’editoria sono gli autori. L’editoria può sopravvivere anche senza carta, ne sono certo (anche se ritengo una follia affidarsi interamente a uno strumento elettronico, che è volubile per definizione), ma il mezzo non è importante quanto lo è, invece, il contenuto. Quello da cui l’editoria non può prescindere sono gli autori. Come ha detto la Atwood, essi rappresentano l’anello principale della “catena alimentare dell’editoria”, senza cui l’intera baracca imploderebbe su se stessa e senza scampo.
Eppure sembra che gli autori non siano molto considerati dagli editori, che spesso vengano trattati a pesci in faccia, come se ricevessero un immenso favore a essere pubblicati, quando in realtà senza gli scrittori gli editori non esisterebbero, ma non vice versa. Oggi, grazie agli strumenti digitali e alla rete, l’editore diventa quasi un accessorio della pubblicazione. L’autore si affida all’editore, non perché non ha altra maniera per pubblicare la sua opera, no, ma poiché ritiene di doversi affidare all’esperienza di chi, da molto tempo e con comprovata capacità, si dedica alla promozione e commercializzazione dei libri. Se non sussistono queste due attività, l’editore non ha motivo di esistere.
Gli editori offrono una serie di servizi importanti, questo non lo si può negare, ma spesso ci si dimentica quali siano i ruoli in questo gioco delle parti che chiamiamo editoria.
Forse, e non voglio apparire categorico, l’universo editoriale dovrebbe cominciare a porsi domande più precise sul suo funzionamento e sui nuovi equilibri che la diffusione delle tecnologie sta generando, invece di arrabattarsi cercando di impedire un processo che appare inevitabile.