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Articolo di Davide Denti pubblicato su Aspenia Online
Chi ricorda la storia delle guerre di dissoluzione della Yugoslavia, e specialmente il contesto bosniaco, avrà assistito al conflitto del 2014 tra Russia e Ucraina con un sinistro sentimento di déjà vu. Come da copione, alla costruzione retorica del conflitto è seguita l’azione di gruppi paramilitari e truppe sotto copertura. Ma, nel caso ucraino, una soluzione al conflitto resta per ora preclusa.
In primo luogo, le basi del conflitto sono state poste attraverso la costruzione retorica dell’alterità e la narrazione dell’Ucraina come Paese diviso da una linea di faglia tra civiltà individuata in base alla differenza linguistica, secondo il modello teorizzato da Huntington già nel 1996. Nel contesto ucraino, etichette linguistiche e nazionali non coincidono (si conta che la maggior parte degli attivisti del Maidan comunicasse in russo) e non esiste alcuna frontiera chiara tra l’uso della lingua ucraina e di quella russa, che scolorano nell’area intermedia del surzhik. A tale complessità si è invece sostituita una narrazione basata sul modello etnonazionale - una lingua, un popolo, uno stato - fondato sul presupposto di inconciliabilità tra comunità differenti ed esclusive.
Dove, ed è stato così nella storia dell’Ucraina indipendente, non erano mai esistite tensioni tra comunità linguistiche o nazionali, tali tensioni sono state presunte e denunciate ex ante come violazione dei diritti dei cittadini ucraini di etnia russa. Vladimir Putin ha così recuperato e attualizzato la “dottrina Karaganov” rendendola però ben più minacciosa verso i suoi vicini. Sergei Karaganov, allora Consigliere del Presidente Boris Yeltsin, aveva sostenuto nel 1993 il diritto della Russia di intervenire nelle altre repubbliche post-sovietiche in caso di cattivo trattamento dei russi etnici, e lo stesso Yeltsin aveva proposto (senza successo) che ai russi etnici residenti fuori dalla Russia venisse garantito uno status superiore con diritti speciali, al di sopra di quelli delle altre minoranze nazionali.
Il passaggio dalla Rossijskaja Federacija, la federazione di tutti i popoli di Russia, al Russkij Mir, il mondo russo inteso in senso etnico e transnazionale, indica una trasformazione quantomeno retorica in senso etnonazionale. Una trasformazione non meno rilevante di quella che portò dalla “fratellanza ed unità” tra popoli della Yugoslavia titina al nazionalismo pan-serbo di Slobodan Milosevic.
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