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Lunedì scorso i ministri degli Esteri dell'Ue hanno dato parere favorevole al trasferimento alla Commissione europea della richiesta di candidatura della Serbia all'adesione. Ogni nuova tappa del processo di integrazione europea di Belgrado sarà però condizionata all'arresto dell'ex generale serbo bosniaco, Ratko Mladic e alla sua consegna al Tribunale internazionale per l'ex-Jugoslavia. La Serbia dunque non ha più attenuanti: o arresta Ratko Mladic, e l'altro super ricercato per crimini di guerra, Goran Hadizc, o il suo cammino verso l'UE rischia di bloccarsi nuovamente in futuro. "Non abbiamo ancora deciso di accordare alla Serbia lo status di Paese candidato all'Ue, ma la decisione di lunedì è importante simbolicamente" ha detto il commissario europeo all'Allargamento, Stefan Fuele. D'altra parte, dopo il gesto di buona volontà compiuto lo scorso settembre da Belgrado - che ha presentato insieme all'UE alle Nazioni Unite una risoluzione sul Kosovo che accantona la questione del riconoscimento dell'indipendenza della sua (ex)provincia aprendo a negoziati diretti con Pristina - era necessario da parte di Bruxelles "fare in modo che la Serbia registrasse un progresso in Europa", come ha dichiarato il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle. Sul via libera dei ministri Ue pendeva, infatti, la minaccia di veto dell'Olanda, il paese più intransigente nel non voler fare concessioni a Belgrado fino a che non sarà risolta definitivamente la questione dei criminali di guerra ricercati dal Tribunale internazionale. Per evitare il veto olandese il via libera dei 27 ministri degli Esteri europei è quindi stata accompagnata da una dichiarazione in cui si afferma chiaramente che per ogni tappa successiva del processo di integrazione di Belgrado "l'UE dovrà constatare all'unanimità che vi è la piena cooperazione tra la Serbia e il Tribunale dell'Aia".
La decisione di lunedì è stata accolta con favore dalla maggioranza dei 27. Secondo il nostro ministero degli Esteri, "è il giusto segnale al momento giusto, sia per la Serbia che per l'intera regione balcanica", mentre per il ministro degli Esteri svedese, Carl Bildt, è stato fatto oggi "ciò che avremmo dovuto fare già sei mesi fa", anche se non si può escludere che "possa ancora riproporsi" un contrasto tra Ue e Serbia sulla mancata 'piena cooperazione' con il TPI. Ora la parola passa dunque alla Commissione europea che, grazie al voto favorevole di lunedì, entro "qualche settimana" invierà un questionario a Belgrado. Il parere definitivo della Commissione è attesa fra circa un anno e per allora, perché non correre il rischio che tutti si blocchi nuovamente, Ratko Mladic e Goran Hadzic dovranno essere nelle celle del carcere internazionale di Scheveningen. Per questo lunedì, in un'intervista all'International Herald Tribune, il presidente della Repubblica serbo, Boris Tadic, ha assicurato che "la Serbia soddisferà fino in fondo i suoi obblighi internazionali" e che la cattura di Mladic è solo questione di tempo. Intanto, però, secondo un sondaggio dell'International republican institute pubblicato ieri, il 51% dei cittadini serbi continua anon considerare utile all'interesse nazionale l'arresto e l'estradizione all'Aia di Ratko Mladic anche se il dato è comunque diminuito del 4% tra ottobre 2009 e agosto 2010. Nel periodo di tempo considerato, è lievemente aumentata, dal 34 al 36%, la percentuale di serbi che considera "nell'interesse dello stato", raggiungere la piena cooperazione con il Tribunale. Per il 38% dei serbi, assecondare il TPI è un "male necessario" e solo il 15% è, invece, pienamente d'accordo sull'arresto e l'estradizione di Mladic. Un dato in crescita del 2% nei dieci mesi analizzati mentre al contempo cala dal 37 al 35% la parte di opinione pubblica serba per cui "in nessun caso" Belgrado dovrebbe cooperare con il Tribunale.
Insomma, la Serbia è cambiata e sta cambiando e anche se resistono pulsioni nazionaliste e anti-europee, il paese in questi anni (soprattutto con la presidenza di Boris Tadic e dopo la vittoria dei filo europeisti alle elezioni politiche del 2008), ha varato pur tra mille difficoltà una serie di riforme importanti per entrare nell'UE. Quella di lunedì, quindi, è davvero una data importante. Addirittura storica, come ha scritto la scrittrice, giornalista e regista serba Jasmina Tesanovic in un articolo pubblicato ieri da La Stampa. "Anche se passeranno diversi anni prima che la Serbia diventi membro della UE anche ufficialmente, da oggi la vita di noi cittadini serbi cambierà radicalmente [...] Dopo l'esperienza ventennale di sanzioni, isolamento e crimine legalizzato la Serbia è alle porte dell'Unione, della fortezza della democrazia occidentale con i suoi standard di leggi sul razzismo, sul sitema giudiziario, monetario, sui diritti umani, sui crimini di guerra, ecc.". Per Jasmina Tesanovic è necessario che il suo paese tagli i fili visibili e invisibili con il suo passato criminale: "La UE con tutti i suoi problemi è l'ultima chance per la Serbia per far fronte al male interno decennale". Quella dei ministri degli Esteri dei 27 "è una decisione saggia, perché la Serbia è collocata in mezzo all'Europa: è più facile far diventare Serbia parte dell'Europa, che rischiare che tutta l'Europa diventi Serbia".
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