Non ha avuto grande eco la notizia che la presidenza danese di turno della Ue abbia richiesto di «mettere fine alla costosa staffetta tra Bruxelles e Strasburgo per i lavori dell’assemblea del Parlamento europeo». Chissà perché, verrebbe da chiedersi.
Mentre lo spread fa impazzire i governi occidentali, alle prese con debiti pubblici che non ci si chiede nemmeno più come possano aver raggiunto voragini così ampie, qualcuno cerca di stringere la cinghia. Almeno sulle uscite palesemente assurde. I costi della doppia sede sono chiari: duecentocinquanta milioni di euro l’anno buttati nella transumanza da una parte all’altra del Reno.
Nel nostro Belpaese sembrano non interessare le complicatissime pieghe dei Bur, per comprendere quanto costi in più ai cittadini gestire, oltre ai baracconi dei palazzi regionali, con annessi e connessi, le sedi di rappresentanza. Il nostro ottimo sistema della Pa prevede che ogni regione, glissando sulla questione degli statuti speciali, abbia la propria sede romana. E quella europea, ci mancherebbe.
Ogni sede distaccata ha costi fissi: le mura (siano in affitto o di proprietà), il personale, le spese correnti di gestione. Ogni sede ha un proprio referente, un proprio responsabile. Ogni sede ha compiti specifici. Ad esempio, le sedi di Bruxelles dovrebbero essere sostanziali per le regioni inserite in obiettivi specifici, in programmi di finanziamenti, per avere sotto controllo ogni movimento della burocrazia europea ed accedere nel migliore dei modi a tutti i fondi disponibili. Ma anche per essere sempre presenti ogni qual volta si discuta del territorio in sede europea.
Alcune regioni ci riescono. Prendiamo il caso recente dei cambi di tragitto per i corridoi della rete transeuropea: la Puglia è riuscita ad imporre una deviazione assurda verso Bari, con un taglio netto della Calabria e quasi netto della Sicilia, dimostrando di avere ottimi rappresentanti a Bruxelles. In Rue du Luxembourg, per la cronaca. Che ha portato a segno il ricco bottino per i pugliesi, pur non essendo, come la sede calabrese di Rond-Point Robert Schuman, di fronte a Palazzo Berlaymont, la famosa torre di vetro a forma di croce costruita per ospitare la Commissione europea. Ancora più lontana, in Place du champ de Mars, la sede siciliana: forse per questo l’isola è stata quasi tagliata fuori dai corridoi ridisegnati la scorsa estate. O forse no.
Certo, a una prima e superficiale analisi, l’esubero di uffici sparsi sul territorio corrisponde alla farraginosità ed alla mancanza di concretezza. Verrebbe persino da chiedersi perché l’ultima delle regioni italiane in quanto a crescita e capacità di utilizzo dei fondi europei, oltre alla sede di rappresentanza quasi agganciata al Palazzo dei palazzi, abbia ancora doppia sede di Giunta (Catanzaro) e Consiglio (Reggio Calabria), e in entrambe le città abbia disseminato uffici un po’ ovunque. Poi ci si ricorda che la Cittadella di Germaneto, che avrebbe dovuto raggruppare e concentrare tutti gli assessorati, è finita solo sulle carte, anche giudiziarie. E che Palazzo Campanella, consegnato più di dieci anni fa dall’allora Presidente del Consiglio, oggi governatore, Giuseppe Scopelliti, non basta a coprire le esigenze dei cinquanta consiglieri fuori sede, costringendo a pagare altri locali sparsi in riva allo Stretto. Poi ci si ricorda che la Calabria fino allo scorso anno aveva anche a Roma doppia sede. E, chissà perché arriva una reminiscenza letteraria, direttamente dal Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: «Tutto cambia affinché nulla cambi». [il futurista nr 32]
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