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L’ULTIMA COSA | L’Harakiri come stile di morte - Emilio Salgari

Creato il 12 novembre 2013 da Roberto Arleo @robertoarleo
L’ULTIMA COSA | L’Harakiri come stile di morte - Emilio SalgariNon vide mai il fiume Gange, non visitò mai Nuova Delhi o Bombay (oggi Mumbai), non si recò mai in India, eppure descrisse l’India molto meglio di quanto riuscì a fare Pasolini che lì andò con gli amici Moravia e Dacia Maraini. Non uscì mai dall’Italia e riuscì a descrivere luoghi lontani ed esotici nel dettaglio aiutandosi solo con gli atlanti e le carte geografiche delle biblioteche torinesi.Emilio Salgari soffrì di malinconie e depressione per tutta la vita, e dovette scrivere, tutta la vita, per proteggersi dai debiti. Sfruttato dai suoi editori, compose una miriade di romanzi ambientati in Oriente: tutta la saga di Sandokan, del Corsaro Nero, di Tremal Naik, e tanti altri ancora, che Ernesto Che Guevara divorò quando ancora era uno sconosciuto medico e non si interessava alle rivoluzioni sudamericane. Chissà che le sue malinconie non siano iniziate con la bocciatura al primo anno della Regia Scuola Tecnica nel 1875: voto 5 nello scritto di Letteratura Italiana, voto 5 in francese (e in futuro farà anche delle traduzioni da questa lingua), 5 in calligrafia e disegno, 5, infine, ma c’era da immaginarselo, in Matematica: fosse stato un bravo ragioniere non sarebbe morto in miseria elemosinando 300 Lire al suo editore.
Per chi soffre di questo male invisibile che va sotto il nome di depressione, non è facile trovare una cura. Il pensiero nasce autonomamente e, nella maggior parte dei casi, è un pensiero negativo e distruttivo, che annulla e angoscia l’individuo. L’alcol è, molto spesso, uno dei rifugi del depresso, ma, a causa delle sue dissestate finanze, Salgari non poteva permettersi alcolici di qualità. È per questo che aveva il vizio di ubriacarsi con uno scarso e semplice Marsala, accompagnato da centinaia di sigarette giornaliere. Di solito, il fumatore e l’alcolizzato sono personaggi incompresi o che si ritengono tali. Questo, in effetti, accadde a Salgari: durante la sua triste vita non fu mai preso in considerazione come uno scrittore serio, gli si preferì sempre il tronfio e borioso D’Annunzio o il lamentoso, querulo e piagnucoloso Pascoli (cocainomane e morfinomane il primo, alcolizzato e incestuoso il secondo).Data la sua eterna insoddisfazione, non poteva che morire per sua stessa mano, ma in un modo molto strano: un giorno si recò su una collina nei pressi di Torino, con un coltello da cucina (secondo altri con un rasoio, ma questa ipotesi risulta più improbabile), e lì si suicidò tramite Harakiri. Insomma, quest’uomo era penetrato così a fondo nella cultura orientale, che per togliersi la vita optò per una eroica modalità giapponese: l’Harakiri o Seppuku, un’antica pratica dei samurai giapponesi divenuta poi celebre durante gli ultimi fatti della II Guerra Mondiale tra gli ufficiali dell’esercito del Sol Levante che, ormai sconfitti, rifiutarono di sventolare bandiera bianca davanti ai marines americani. Salgari, non pago del sangue che sgorgava dall’addome, per accelerare la morte, si tagliò la gola. 5 giorni prima scrisse al suo editore: 
Eg. Comm. E. Bemporad, Le scrivo in uno dei più tristi momenti della mia vita. Mia moglie, dopo un mese di pazzia, diventata furiosa, ho dovuto ricoverarla ieri sera al Manicomio di S. Giulio. Mi occorre di fare subito un deposito di Lire 300 che io non posseggo perché con le infermiere, durante questo lungo periodo sono stato pelato. Io la prego Comm. di mandarmi la terza rata di 600 lire ed io le prometto di rimetterle fra giorni altre cento cartelle. Mi lasci un momento di respiro per rimettermi da questa terribile scossa. Ella Comm. si investa del mio caso e mi mandi senza ritardo quanto Le ho chiesto non avendo che tre giorni di tempo per fare il deposito. Certo del favore, gradisca Comm. i miei più distinti saluti. 
Il Comm. 3 giorni dopo gli inviò le 300 lire, ma fu comunque troppo tardi.Sua moglie, che con pazienza l’aveva aiutato nella redazione dei suoi romanzi e nel mantenimento economico dei figli e dei suoceri, la moglie alla quale inviava lettere firmandosi “Selvaggio Malese”, già da tempo ricoverata in un ospedale psichiatrico, morì dieci anni dopo, il 31 Settembre 1922, ma non all’interno del Regio Manicomio di Torino: ne era uscita il giorno prima. La figlia fu distrutta dalla tubercolosi, altri due figli suicidi ed uno per un incidente in moto. Che la malinconia o la depressione siano contagiose? Nessuno ancora l’ha studiato. Considerando che anche il padre di Salgari, Luigi, morì suicida, “lasciandosi cadere” da una finestra perché convinto di essere affetto da un male incurabile, la depressione sembra rivelarsi un disturbo a trasmissione familiare.
Luca Occhilupo  

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