Popolazione in fuga da Goma, foto dalla rete
Oramai è guerra franca. Se ne sono accorti tutti, ne parlano i giornali e perfino le televisioni nazionali. Da quando i ribelli del M23 hanno conquistato la città di Goma, in Kivu è tornato, per una parte del mondo, ad esistere. Certo non è che prima in quella regione della Repubblica Democratica del Congo (paese grande quanto metà dell'Unione Europea, con 72 milioni di abitanti) le cose andassero bene e la popolazione vivesse in pace e prosperità (proprio una decina di giorni fa Sancara aveva pubblicato questo post sulla mattanza nel Kivu). La regione, che si trova al confine con Burundi, Ruanda ed Uganda, è nel caos più totale a partire da metà degli anni '90, quando nel corso del genocidio del Ruanda (iniziato il 6 aprile del 1994) si riversarono in massa nel paese prima i profughi (Tutsi e Hutu moderati) e successivamente gli stessi autori del massacro ruandese.Da allora per la popolazione del Kivu è iniziato un calvario inaudito, in cui le peggiori tecniche di guerra prodotte dal genere umano sono state applicate in modo sistematico. Torture, stupri di massa, mutilazioni, costrizione alla schiavitù, arruolamento di bambini soldato, omicidi e distruzioni e saccheggi di ogni genere. Sono oltre 5 milioni le vittime in questi 18 anni.I nomi di Bosco Ntaganda (soprannominato Terminator), Sultani Makenga, Sylvestre Mudacumura e Vianey Kazarama a noi non dicono nulla. Ma per chi ha visto l'intera famiglia sterminata per mano degli uomini da loro guidati, questi nomi evocato paura, terrore e rabbia. Tutti sono ricercati dalla giustizia internazionale, che francamente in un luoghi dove qualsiasi sistema democratico e amministrativo è saltato, conta veramente poco.
La regione del Kivu è una miniera. Nel suo straordinario paesaggio (le sue terre e le sue montagne ospitano meravigliosi parchi più volte violati e devastati) nasconde stagno, tantalio (coltan), tungsteno, zinco e oro (ecco un post di Sancara che commenta un rapporto delle Nazioni Unite su questo tema) oltre che di legname. Il controllo di queste risorse è all'origine di qualsiasi cosa.
L'operazione in corso (l'avanzata) sembra avere proprio l'obiettivo di svuotare, con la forza, il territorio.
Chi rischia di uscire politicamente sconfitta da questa situazione sono proprio le Nazione Unite, che seppur presente nell'area con oltre 16 mila uomini, non è assolutamente in grado di tutelare le popolazioni civili ne quantomeno di impedire gli innumerevoli eccessi. Ancor meno l'ONU sembra capace oggi di bloccare i burattinai di Kigali e di Kampala di questo caos.
Chi sicuramente paga una prezzo inaudito è la popolazione civile del Kivu, costretta continuamente alla fuga tra dolore e disperazione per le violenze. Solo in queste ore di parla di centinaia di migliaia di persone (molte donne e bambini) in fuga, tanto che l'Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite ha lanciato un appello ai governi per non chiudere le frontiere.
Se non si interviene sulla vendita (e sull'acquisto) delle materie prime provenienti dalla regione dei Grandi Laghi, la situazione difficilmente potrà migliorare.