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"L'ultimo dei giusti": una perla da riscoprire

Creato il 05 dicembre 2011 da Silviapare
Dopo aver tradotto, per amore e per lavoro, Il libro dell'ignoto, ho continuato a interessarmi alla leggenda talmudica dei Lamed-vav Tzadikim, i Trentasei Giusti che, ignoti al mondo e persino a se stessi, salvano ogni giorno la terra dalla furia distruttiva di un dio disgustato dal male compiuto dagli uomini.Qui trovate un buon riassunto delle notizie sulla leggenda e le sue origini, dove si legge fra l'altro: "In tutto e per tutto in incognito e sconosciuti persino l'uno all'altro, si diceva che svolgessero umili occupazioni: artigiano, portatore d'acqua... La loro caratteristica è di non ammettere la propria identità di fronte a chiunque, negando la propria appartenenza al gruppo in maniera categorica. Si dice che l'Altissimo sostituisca ciascuno di essi nel momento stesso della sua morte. (...) La tradizione hassidica riconosce due categorie di santi, a seconda della propria visibilità. I santi che operano in clandestinità appartengono a un livello più elevato."

André Schwarz-Bart

L'ultimo dei giusti, di André Schwarz-Bart, è un libro del 1959, pubblicato per la prima volta in Italia l'anno successivo nella traduzione dal francese di Valerio Riva. Come recita la quarta di copertina, Schwarz-Bart scrisse questo romanzo, "... che sfocia nell'immane tragedia della Shoah, con l'intento di ricostruire il lungo percorso dell'essere ebraico e di una continuità storica che era innanzi tutto continuità spirituale. Il legame tra passato e presente, il filo unico di questa continuità, è affidato alla Leggenda dei Giusti, uomini che assumono su di sé la sofferenza degli altri, rendendone possibile la sopravvivenza in un mondo carico di dolore".
Vi propongo qui un piccolo brano, un episodio che succede verso la fine del libro."Con gesti lieti sollevò la coperta del proprio giaciglio e infatti ritrovò i pezzi di pane e i biscotti vitaminici; poi abbozzando un sorriso, con voce naturale, chiese in giro se c'era qualcuno disposto a regalargli un pezzetto di cioccolata o una chicca qualsiasi di quelle 'che tiran su il cuore.' I vicini più prossimi ebbero un movimento di indignazione e di scandalo:'Aveva ragione lei,' disse al suo compagno, in yiddish, uno che giocava a carte: 'la comicità di questo tipo è insopportabile.''Ma non per me,' protestò Erni con le lagrime agli occhi: 'Ve lo giuro, è per fare un regalo.'E giù tutti a ridere. Si strizzarono l'occhio: la nuova stranezza di Bertoldo [il soprannome di Erni nel campo di concentramento, nota mia] presto fu nota in tutto il dormitorio. Ma un uomo dalle tempie grigie, sdraiato su una cuccetta lì presso, affondò la mano in una segreta scucitura del pagliericcio e ne tirò fuori un astuccio da occhiali che conteneva due zollette di zucchero e un paio di cioccolatini inaciditi. Rovesciò il contenuto su una mano, ci pensò su un po', rimise lentamente un cioccolatino nell'astuccio. Poi si sporse verso Erni, che era rimasto ai piedi della cuccetta, torvo, fremente, curvo sotto la gragnuola di insolenze, e gli tese con un sorriso quel piccolo tesoro.'Fratello,' mormorò - e aveva nella voce un'impercettibile nota di rimpianto - 'fratello, non gli dar retta, sei tu che hai ragione. È importante fare un regalo...'Esitò, sorrise di più:'... quando non si ha nulla.'"

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