Attraverso la penna di questo anonimo memorialista ci addentriamo nell'angoscia dell'attesa, vivendo in pochi istanti le pesantissime ore che lo separano dall'esecuzione e sperimentando la durezza di tante condanne immaginate. Leggendo questo breve racconto che, con la sua essenzialità, ci fa capire quanto sia rapido il consumarsi degli ultimi istanti di vita, assistiamo al crollo del sogno del progresso, allo smascheramento delle contraddizioni sociali, all'amarezza di chi non ha la minima capacità di comprendere cosa significhi, per un uomo, contare i momenti che lo separano dal patibolo, come per il cappellano che, più che offrire conforto, pratica un rituale sempre uguale a se stesso o la guardia che chiede al condannato di apparirgli in sogno come fantasma una volta morto per fornirgli i numeri fortunati al gioco.Ma L'ultimo giorno di un condannato a morte, pubblicato nel 1829, dopo un quarantennio di lavoro delle ghigliottine, non è completo senza la lettura della prefazione di Victor Hugo, che si configura come un feroce atto d'accusa contro la pena di morte e le sue ricadute sociali e contro quei politici che, se prendono in considerazione di abolirla, lo fanno solo per evitare che sia una delle loro teste a saltare.
Vincent Van Gogh, La ronda dei carcerati (1889)
Emerge, dalla vigorosa affermazione di Hugo, lo sdegno verso una pratica che non è né socialmente utile, in quanto non fa che accrescere il degrado e non dà alcun insegnamento (al punto che molte esecuzioni, per evitare grottesche figuracce passate, si svolgono in luoghi inaccessibili al popolo), né misericordiosa, anzi, talvolta risulta assimilabile alle peggiori barbarie. In questo senso, Victor Hugo si colloca nel solco della riflessione illuminista che ha prodotto la Rivoluzione francese (e la ghigliottina dispensatrice di giustizia sociale), ma che ha avuto fra i suoi pilastri teorici il trattato di Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene (1764), che Hugo cita e impugna. Circa quindici anni più tardi, la stessa riflessione sarebbe comparsa ne I misteri di Parigi di Eugéne Sue, anch'esso ampiamente dedicato al problema della gestione dei detenuti e della somministrazione delle pene.L'aspetto più inquietante della lettura de L'ultimo giorno di un condannato a morte, oltre ai particolari macabri che Hugo non ci risparmia, è la presa di coscienza di noi lettori del XXI secolo, che ancora siamo testimoni delle più tremende atrocità commesse in nome della giustizia e che non abbiamo ancora trovato un modo per garantire la giustizia e la dignità agli offesi e una pena certa agli offensori senza macchiarci di ulteriori violenze.Dal momento che ho il mezzo di scrivere, perché non farlo? Ma che cosa scrivere? Prigioniero tra quattro muri di pietra nuda e fredda, senza libertà per i miei passi, senza orizzonte per i miei occhi, occupato come sono a seguire macchinalmente tutto il giorno, unica distrazione, il lento percorso di questo riquadro biancastro che lo spioncino della porta proietta sull'oscura parete, e come dicevo poc'anzi, solo a solo con un'idea, un'idea di delitto e di castigo, di assassinio e di morte! Posso forse avere qualcosa da dire, io che non ho più niente da fare in questo mondo?C.M.