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L'ultimo Sigillo - di Paolo Portone

Da Monicajay
L'ultimo Sigillo - di Paolo PortoneL’ULTIMO SIGILLO: UN LIBRO DI PAOLO PORTONE PER COMPRENDER IL MITO E LA PERSISTENZA DELL’APOCALISSE
Recensione di Pierangelo Garzia
E’ possibile comprendere i nostri tempi attraverso un testo che parla di Apocalisse? La risposta è affermativa e il volume in questione è L’ultimo sigillo. La fortuna dell’Apocalisse (Gruppo Editoriale Castel Negrino) di Paolo Portone.
Portone individua nella persistenza dell’idea di Apocalisse qualcosa di profondamente radicato nelle nostre coscienze. L’idea della fine. Non quella individuale. Con la quale conviviamo in maniera dissonante. Sappiamo che tutti dobbiamo morire, ma in quel “tutti” una parte molto consistente della nostra mente non include noi stessi. La nostra persona, il nostro corpo, la nostra coscienza. Non possiamo accettare di essere vivi oggi, coscienti, operanti, legati da affetti, e non esserlo più domani. E neppure possiamo accettarlo per i nostri cari. L’esistenza terrena appare così priva di significato: tutto questo darsi da fare per poi finire in nulla? Ciò può essere accettabile unicamente se inserito in un contesto più ampio, mitico, religioso, contemplante la fine universale, oltre che quella individuale.
Così la cultura umana trasla il terrore della fine individuale nell’idea di Apocalisse. Una fine collettiva, globale, che preserverà tuttavia una schiera di eletti, di giusti ed incorrotti. Quasi a dire: se moriamo tutti, non muore nessuno. Inoltre, potrei rimanere vivo, su questa terra, tra gli eletti. In un modo o nell’altro, persiste una idea di continuità. Inoltre, come nel caso dei fanatici dell’Apocalisse e degli stragisti, se io sono l’esecutore materiale di una Apocalisse, ne divento parte, incarno il ruolo divino.
Destino curioso quello del testo da cui tutto ciò ebbe inizio. Quel Libro della Rivelazione attribuito all’apostolo Giovanni, che dal significato originario del termine “Apocalisse” ci ha condotti al significato attuale e condiviso di “catastrofe”. Il mito dell’Apocalisse nasce e si sviluppa come tema fondante della cattiva coscienza dell’Occidente. Qualcosa, o qualcuno, là fuori, ci porterà la distruzione. Tale catastrofe sarà annunciata da segni, da segnali indicatori e predittivi che sta per avvenire qualcosa di tremendo. Solo una cerchia di eletti, illuminati, è in grado di interpretarli. Da qui la nascita e la crescita di gruppi settari che, nel corso dei secoli, si sono costituiti da una  parte per annunciare la prossima fine dei tempi, dall’altra per prepararsi alla minaccia. E magari difendersi in maniera paranoide dall’ignoranza del mondo profano. Pure con suicidi di massa, di cui il testo di Paolo Portone ricostruisce la storia e le dinamiche.
Anche perché sono eventi che, in quanto prodotto di un archetipo radicato nell’animo umano – l’Apocalisse e quanto ne consegue – sono suscettibili di ripetersi nel tempo. Sia per quanto riguarda ciò che informa gli esecutori di omicidi di massa, sia per coloro che si sentono depositari di una verità “rivelata” sulla fine dei tempi, e dunque in diritto di compiere le azioni più aberranti verso se stessi e verso il prossimo. Il testo, sicuramente apocrifo dell’Apocalisse, è ambiguo e criptico, secondo alcuni addirittura cabalistico – per ragioni legate al periodo storico in cui nacque e alle persecuzioni a cui andavano incontro le comunità cristiane. Con l’andare dei secoli su quei versi criptici, simbolici ed evocativi, ognuno ha potuto proiettarci e leggerci ciò che più gli è tornato comodo. Uno specchio in cui si riflettono ansie, paure e sgomenti quotidiani dell’umanità. Caratteristica comune di tutti i testi profetici.
Si incarnano in questo testo ambiguo ed evocativo caratteristiche del profetismo, categoria propria delle religioni nascenti, o che attraversino periodi di smarrimento e crisi. Il profetismo è la linfa vitale che ridona colore, emozione e attenzione alla religione istituzionalizzata. L’Apocalisse, attribuita all’evanescente e misteriosa figura di Giovanni di Patmos è un testo profetico geniale, buono per tutte le stagioni. Nessuno sa si tratti dello stesso Giovanni evangelico. Sicuramente un testo apocrifo che però la sinossi evangelica ha avuto interesse ad inglobare nei testi fondanti della religione ebraico-cristiana.
Essere in questo mondo, ma non di questo mondo è, del resto, un elemento base della religione cristiana. Muoversi in un luogo in cui si sia consapevoli di agire in una “valle di lacrime”, proietta quasi naturalmente verso una nuova Età dell’Oro, anche qui, sulla terra. Un momento in cui il piano terrestre sarà mondato, ripulito dal male. In cui la tromba del giudizio universale suonerà, accompagnata da immani cataclismi, e gli eletti saranno salvati, gli empi condannati. Questo, così com’è, non è un mondo per giusti. Un luogo in cui il ladro, il criminale, il sordido, il perverso, hanno spesso la meglio, non può essere un mondo per giusti. E l’attesa di una grande ramazza che spazzi via tutto il marciume, stani il male strisciante sotto le pietre dell’apparenza e dell’ipocrisia. Si sviluppa nel religioso, nel giusto, una parte di sé che vive in questo mondo, ma allo stesso tempo lo rinnega e lo rifiuta. Una dissonanza cognitiva che è alla base del male di vivere. Della tensio
ne verso un oltre, terreno o ultraterreno, in cui passare a “miglior vita”.
Paolo Portone ce ne illustra le ragioni storiche, ideologiche che, inevitabilmente, si intrecciano con quelle psicologiche. Ed ecco che nell’Ultimo sigillo ci vengono prospettati i rischi in cui l’umanità può sconfinare e cadere, in ambienti settari o militari, quando questo rifiuto diventa addirittura “odio del mondo”. Incarnandosi in leader, sette, fanatici solitari e stragisti, movimenti religiosi e politici che, inevitabilmente, nel loro delirio di avvertono il braccio armato dell’Apocalisse. Colui o coloro destinati al compiersi delle profezie. Ed ecco le stragi, gli attentati, i suicidi di massa.
Paolo Portone si conferma con questo volume profondo e acuto studioso delle questioni di "confine" del pensiero umano, in particolare la persecuzione e i processi alle persone accusate in passato di stregoneria e, in questo caso, i testi apocalittici. Su questi temi Portone ha prodotto testi e lavori scientifici di rilievo, di respiro internazionale. Ma, ci si potrebbe chiedere, cosa condividono i testi apocalittici e i verbali dei processi per stregoneria, che Portone ha studiato in originale, pure nelle segrete stanze della Biblioteca Vaticana? Si potrebbe argomentare che entrambi i temi vengono a costituirsi come derive del pensiero, per un verso accanendosi e proiettando le paure e le ansie dei tempi su soggetti umani, a predominanza femminile, per l'altro proiettando le medesime tensioni psichiche a livello collettivo. In una tensione di palingensi, di distruzione e riedificazione, salvezza per i giusti e rinascita di una novella Età dell'Oro.
In questo testo, denso di rimandi e riferimenti bibliografici, da cui non potrà più prescindere alcuno studio successivo sulle tematiche apocalittiche, Paolo Portone ci illustra come nasce l'ossessione per l'Apocalisse, come penetra nelle coscienze e, soprattutto, come giunge fino ai giorni nostri. Portone individua e pone sotto la lente le molteplici trasformazioni e sembianze che il pensiero apocalittico assume nel corso dei secoli e si ripresenta continuamente, anche ai giorni nostri, magari attraverso la nuova data di scadenza del genere umano: il 2012.
Così il libro dei “sette sigilli” si disvela attraverso l’apertura dell’ultimo sigillo, quello individuato da Portone. I quattro cavalieri dell’Apocalisse (carestia, guerra, pestilenza e morte) sono eterni nell’esperienza terrena. Anche se Portone ne indica le attuali incarnazioni, tra cui: il fanatismo integralista, le ideologie irrazionali e distruttive, la minaccia ecologica, le crisi economiche. E il mito dell’Apocalisse, più del testo originario, si rivela alla fine una Fenice che rinasce continuamente dalle proprie ceneri. Paolo Portone ce ne fa comprendere le ragioni profonde. E, nel farlo, ci fa comprendere l’epoca di smarrimento e ricerca di consolazioni apocalittiche che stiamo, di nuovo, attraversando. 

Pierangelo Garzia è science writer e si occupa di tematiche inerenti le neuroscienze. Su questi temi ha scritto e diretto riviste specialistiche. Ha collaborato e collabora con testate nazionali, tra cui D La Repubblica delle donne, Le Scienze, Mente&Cervello. Ha collaborato, sia per la rivista che per il portale internet, con Psychologies del gruppo Hachette e con il Sole24ore.com. Sugli intrecci tra cultura e scienze del cervello, collabora con la rivista internazionale Cartier Art Magazine. E’ coautore di La memoria emotiva e de Il grande libro della memoria entrambi editi da Sperling & Kupfer. E’ responsabile dell’Ufficio Stampa e Comunicazione dell’Irccs Istituto Auxologico Italiano, centro di cura e ricerca medica di rilievo europeo.
http://bioneuroblog.wordpress.com

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