Quando ho sentito per la prima volta nominare L’umano sistema fognario (Manni,2014) la prima cosa che ho pensato è «Ma che razza di titolaccio è?!»; poi l’ho collegato al suo autore, Cosimo Argentina, è ho detto «Ok, allora, quadra».
(però non ho resistito alla tentazione di fargli una domanda al riguardo, leggi più avanti)
Chi conosce e ha già letto qualcosa di Cosimo Argentina – e se non l’avete fatto, abbiamo da consigliarvene – sa che la sua penna non conosce ostacoli sulla pagina. Altro che peli sulla lingua o sullo stomaco: peggio di un tank, dritto, solido, potente, procede per la sua strada senza intoppi o curvature, macinando qualunque cosa incontri. Così è la storia di Emiliano Maresca, protagonista dell’Umano sistema fognario, giovane disadattato di Taranto.
Figlio di N.n., il ragazzo porta il cognome solo della madre e della sua pensione in parte vive – o meglio vivacchia, a ben guardarlo. Quando la vecchia muore, però, le cose precipitano. E non tanto, o non solo, per il venire a mancare del sussidio economico, quanto più per la rivelazione che come regalo d’addio la mamma gli dona. Chiaramente, il nome del padre naturale. Chiaramente, scatta il piano di Emiliano.
Il suo destino è segnato dall’incipit del romanzo, prende forma sempre più lucida nelle pagine direttamente successive e questa è l’unica lucidità che resterà in tutta la storia. Poco alla volta, ogni giorno più rapidamente, con passo ad un certo punto quasi affrettato, Emiliano mette in piedi la sua vendetta, che sarà triplice, andando a coinvolgere il paparino e le sue due figlie legittime da altro matrimonio – ironicamente chiamate Diamante ed Esmeralda, nonostante non siano proprio due grazie.
Non è facile leggere questa storia. Non è facile perché ogni volta che la prendi in mano la sensazione è proprio quella di starti “inzivando“ (=sporcando, il termine dal pugliese viene naturale quando si ha a che fare con Argentina), di esser lì a giocare saltando sul tombino aperto di una fogna maleodorante, di esser caduto nella buca di un pozzo inquinato… invece stai andando al fondo di una storia, umana e disumana allo stesso tempo, e quello di cui ti stai insozzando sono anni di sentimenti reclusi e vite sull’orlo dell’esclusione sociale.
Sorridere sembra difficile in questa situazione, eppure Emiliano sorride spesso, con quel suo sorriso un po’ sghembo e un po’, un bel po’, stolto; sorride ogni volta che vede Anansa, la ragazza di cui è innamorato, bella e impossibile, come da cliché.
I nomi delle donne di questo romanzo mi hanno incuriosito: unico tratto estetico pulito, eccentrico, luminoso. E Argentina mi ha rivelato che il nome della dea di Emiliano viene da un suo ricordo lontano: una bella studentessa che ha avuto alle serali anni e anni orsono, portava questo nome originale, straniero, proveniente dal Marocco. Anansa è la donna quasi angelicata, una Beatrice irraggiungibile se non per miracolo divino; i suoi occhi verdi donano quella felicità che il povero Emiliano non potrà mai ottenere nella vita terrena, se non per qualche breve, fuggevole momento. E Anansa diventa la dea della salvezza ed anche la parola magica che tutto trasforma: tutto ciò che bello diventa anansa, tutto ciò che fa bene è anansa, tutto ciò è buono viene chiamato anansa, Argentina rende la parola un sinonimo, plastico ed emblematico, del meglio.
Anche gli altri personaggi sono un po’ dei cliché: il ragazzo violento solo a parole con la fissa nazista, l’amico debole e introspettivo che parla solo di cinema, il capo stronzo e sfruttatore seppur amico di famiglia, il fidanzato che assomiglia ad un toro e ne ha lo stesso quoziente intellettivo. Come riesca Cosimo Argentina a rendere questi personaggi mezzi cliché tragicamente veri è il mistero della sua penna e del suo stile, così vivido, diretto, realistico.
Una storia brutta come il suo protagonista, che leggi con rapidità, come una medicina cattiva; poi ti resta l’amaro, e allora vai fuori, a cercare un’anansa zuccherino.
Cosimo Argentina, L’umano sistema fognario, Manni editore, 2014