Nel ricreare l’atmosfera di un tempo passato, fatto di piccoli gesti e grandi emozioni, Raimondo Raimondi, nella sua nuova antologia di racconti dal titolo L’undicesima (Edizioni Il Foglio) offre un lucido schizzo della Sicilia “arcaica”, come la definisce acutamente Veronica Tomassini nella sua prefazione. Il vecchio protagonista muto, quasi ombra dell’Ade, del volgere naturale delle cose, è la guida scelta da un giovane ragazzino di città nel racconto d’esordio (Pietre rosse). Quasi un pugno nello stomaco risulta la riflessione lucida di Giona sulla misera condizione umana, lacerata da odii interraziali incomprensibili ed inaccettabili (Sabato di Penitenza) o l’efficace fine otelliana di matrimonio mal riuscito (I soliti sospetti). Quanta proverbiale sicurezza mostra l’invasato protagonista di uno dei racconti più splatter della raccolta (L’allievo di Satana), come fosse tratto quasi per intero da quei tanto simili fatti di cronaca nera, appena accennati nei quotidiani nostrani. Che dire poi della maturazione tardiva di un menomato discendente di antica razza avvizzita che passa attraverso il piacere sessuale finalmente appagato e dalla conseguente liberazione da un amore materno malsano (La bambola olandese)? Il racconto successivo (Amhid l’etiope) è un vero e proprio abbozzo di romanzo che ricorda l’atmosferica onirico-sacrale dei lavori di Giuseppe Rovella (autore immeritatamente dimenticato, siciliano come Raimondi), ed apre uno squarcio nella misera realtà di gente “vinta” che s’aggira nella bella e desolata Ortigia siracusana. Che la vita non fosse una noiosa trasmissione televisiva lo impara a sue spese Ramon, inquieto ed annoiato interprete del racconto (Zapping), quasi una scheggia di follia degna di Arancia meccanica. Nemmeno i moderni dispensatori di morte locali sono immuni dalle più fastidiose delle concorrenze e l’orgoglio ferito sanguina più di un colpo di Beretta (Killer night). La vita tutto sommato tranquilla di un nano nella magica laguna veneta viene sconquassata alle fondamenta dal casuale incontro con un vecchio vagabondo che ha assaporato tutti o quasi i dolori umani senza trovare il tanto agognato perché (Palak il nano). Quale esempio moderno di metateatro plautino l’atto di denuncia feroce messo in scena da un egocentrico attore intellettualoide fa da contraltare ad un coro di streghe antiglobalizzazione che richiama il lettore sui pericoli della società contemporanea (Uguali e diversi). A chiusura del volume (L’undicesima) storia che richiama i temi presenti in tutti i racconti precedenti: Eros e Thanatos, gettati artisticamente sulla tela di una trama degna di un abbozzo di romanzo criminale.
Con l’uso di adeguate citazioni letterarie, dandoci spesso delle chiavi di lettura ai singoli racconti, Raimondo Raimondi mi ha piacevolmente intrigato con il suo tratto dark che difficilmente si può cancellare dalla nostra memoria pregressa, e ne siamo certi, dall’animo di chiunque abbia visto nell’essere umano il lato oscuro nelle sue molteplici sfaccettature.