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L'undici settembre di quarant'anni fa, moriva Salvador Allende, Presidente della Repubblica cilena. Conserviamo foto e ricordo di lui affacciato a una finestra del Palazzo de La Moneda, con elmetto e fucile, perché fosse chiara e visibile con la sua impossibile resistenza l'opposizione al golpe che consegnava il Cile alla dittatura di Pinochet. Fra le sue ultime parole infatti queste: Ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento. Ha avuto ragione. Non per caso questo circolo oggi lo ricorda con gratitudine mentre Pinochet è confinato da morto nel disprezzo di tutti i democratici. Ha avuto ragione. A cosa serve prolungare la vita a costo di renderla detestabile? Aveva tentato, da Presidente minoritario, vincitore, ma con la maggioranza del parlamento ostile, di realizzare il cambiamento socialista nella democrazia e nella legalità assoluta. Nazionalizzazioni, esproprio dei latifondi e svariate misure di sostegno ai deboli. Coalizzò contro di sé forze smisurate, interne ed esterne: gli Usa, i militari, i latifondisti, le corporazioni (a partire dagli autotrasporti). Non poteva farcela. Enrico Berlinguer trasse ispirazione dalla tragedia cilena per una svolta strategica verso il compromesso storico. Impossibile il socialismo o il governo della sinistra senza il sostegno della grande maggioranza del popolo o di una larga coalizione di forze.
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