“E’ qui che Satana lotta con Dio, e il campo di battaglia è il cuore degli uomini”.
Ci sono romanzi che restano per tutta la vita nella mente e nel cuore e ne diventano le colonne portanti.
Uno di questi è “I Fratelli Karamazov”, l’ultimo romanzo scritto da Fedor Dostoevskij (1880-1881).
Tre fratelli: Dimitrij, il contadino, l’edonista, pervaso dalla voglia di vivere e di esagerare, che finisce sospettato di aver ucciso il proprio padre, lo squallido, infame Fedor Pavlovic.
Ivan: l’intellettuale, fragile e sensibile. Scrive dell’ingiustizia del mondo, delle vittime e dei carnefici, fino a produrre il poemetto “Il grande inquisitore”, capolavoro nel capolavoro, nel quale si immagina il ritorno sulla terra di Gesù, costernato per il tradimento del messaggio cristiano originario, asservito ormai alle logiche del potere e dell’oppressione.
Alesa: il puro, colui che porta in sé lo spirito religioso autentico: pietoso, illuminato dalla luce della Grazia. Vediamo il suo carisma tentennante crescere ed affermarsi nel tempo, fino a divenire roccia (pietra angolare, direbbero i Vangeli).
Poi una sterminata schiera di personaggi indimenticabili: Smerdiakov, il figlio illegittimo, il demente, il pazzo, il vero motore della storia; Gruscenka, donna russa fino nel midollo, amata da Dimitrij; Katerina Ivanovna, la compagna di Ivan, algida e fatale, Kolia Krasotkin, il ragazzo più maturo della sua età; Iliusa, il bimbo che vive in una famiglia poverissima, la cui vicenda strazia il cuore; lo starets Zosima, quintessenza della teologia cristiana, la cui fermezza morale oltrepassa i confini dell’infinito (il “gran mare dell’essere”).
La lettura del romanzo non è certo facile, fin dall’inizio apparentemente (o no) farraginoso ed esageratamente descrittivo; ma in questo romanzo tutto è esagerato. Nel cuore del libro troviamo pagine di riflessione misurata alternate a brani di pura passione “che vorresti strappare ed appendere al muro” (per dirla come un utente web di cui vorrei ricordare il nome); un fuoco intellettuale ed emotivo quasi insostenibile, sconvolgente, tutto proteso alla ricerca della salvezza, della redenzione e della purezza personale, che ti spinge a correre fuori in mezzo alla gente, ascoltarla, consolarla, dirle che vi è ancora speranza, che esiste la promessa di un domani migliore.
Sappiate che non c’è nulla di più sublime, di più forte, di più salutare e di più utile per tutta la vita, di un buon ricordo e soprattutto di un ricordo dell’infanzia, della casa paterna. Vi parlano molto della vostra educazione, ma qualche meraviglioso, sacro ricordo che avrete conservato della vostra infanzia, potrà essere per voi la migliore delle educazioni. Se un uomo porta con sé molti di questi ricordi nella vita, egli sarà al sicuro fino alla fine dei suoi giorni. E anche se dovesse rimanere un solo buon ricordo nel nostro cuore, anche quello potrebbe servire un giorno per la nostra salvezza. (dal “Discorso sulla pietra” di Alesa, nell’ultima, straordinaria, struggente pagina del libro).
Per prima cosa, soprattutto, noi saremo buoni, poi onesti e poi non ci dimenticheremo mai l’uno dell’altro. Lo ripeto ancora. Io, per primo, vi do la mia parola che non dimenticherò nessuno di voi; ciascun viso che in questo momento mi sta guardando, lo ricorderò, dovessero passare pure trent’anni.