Mi sorrise ancora, mi lasciò la mano e ci alzammo da tavola. "Oggi offre la casa...a domani!". Non era un invito, era un ordine. Sparì con il suo calice nella cucina del locale. Osservai i suoi fianchi per un attimo e provai una tremenda fitta di desiderio nel basso ventre. Mi voltai e incrociai lo sguardo della cameriera. Se avesse guardato un cane rognoso i suoi occhi avrebbero avuto un'esperssione più dolce. Da bravo simpaticone alzai il calice nella sua direzione per un brindisi muto, svuotai il bicchiere e solo il pensiero di non sporcare la mia giacca mi impedì di asciugarmi le labbra con la manica. Posai il bicchiere e uscii salutando in italiano. Fuori laserata di settembre era dolcissima, il traffico quasi inesistente. Mi chiesi se aspettarla o meno li fuori. "No, oggi no. Aspetta". Mi sorrisi pensando alla saggezza che una vita difficile come quella che avevao vissuto sino a pochi anni prima può infondere. Mi allontanai a passo lento, mani nelle tasche, verso il mio hotel. Quello che accaddè poi è facile da intuire. Julia era, ed è, una donna corazzata. Ci volle tempo, fiori e una presenza costante e silenziosa. Le spiega il mio lavoro, ci raccontammo molte verità e qualche bugia, qualche omissione, ci tenemmo per mano molte sere. Il locale era suo, eredità di un padre simpatico e presente, e di una madre alcolizzata. Questo spiegava molto, anche il suo impegno nel continuare la tradizione di famiglia. Poi una sera mi invitò da lei, in un piccolo appartamento nello stesso stabile del locale, secondo piano, grande vetrata liberty, tanti libri, un grande divano bianco, e facemmo l'amore come se io avessi sempre fatto parte della sua vita e lei dela mia. Sono passati quasi tre anni, non uso casa sua quando sono a Parigi, prendo sempre una camera nel solito albergo. Viviamo cosi, legati l'uno agli occhi dell'altra, con le mani incollate appena possibile. Il mese prossimo verrà da me in Italia, dice che mi ha dato abbastanza tempo per nascondere mia moglie e i miei quattro figli e mi sorride.Non abbiamo mai parlato di avere figli insieme, o di avere una casa in comune. Lei ha il suo bistrot, io non ho niente se non lei e questa segreta angoscia di non riuscire più a scrivere una riga di un racconto o di una poesia. Ho smesso anche di leggere. Ho pensato ad una malattia, ad un distturbo neurologico, ad un tumore cerebrale. Appena possibile mi farò visitare. ma ho l'impressione di aver perso l'anima, ma sono sempre più sereno, forse è il prezzo della felicità. Adesso mi accontento di mangiare queste ostriche grasse, bere questo buon vino e sorridere alla vecchia cameriera che mi odia.
Mi sorrise ancora, mi lasciò la mano e ci alzammo da tavola. "Oggi offre la casa...a domani!". Non era un invito, era un ordine. Sparì con il suo calice nella cucina del locale. Osservai i suoi fianchi per un attimo e provai una tremenda fitta di desiderio nel basso ventre. Mi voltai e incrociai lo sguardo della cameriera. Se avesse guardato un cane rognoso i suoi occhi avrebbero avuto un'esperssione più dolce. Da bravo simpaticone alzai il calice nella sua direzione per un brindisi muto, svuotai il bicchiere e solo il pensiero di non sporcare la mia giacca mi impedì di asciugarmi le labbra con la manica. Posai il bicchiere e uscii salutando in italiano. Fuori laserata di settembre era dolcissima, il traffico quasi inesistente. Mi chiesi se aspettarla o meno li fuori. "No, oggi no. Aspetta". Mi sorrisi pensando alla saggezza che una vita difficile come quella che avevao vissuto sino a pochi anni prima può infondere. Mi allontanai a passo lento, mani nelle tasche, verso il mio hotel. Quello che accaddè poi è facile da intuire. Julia era, ed è, una donna corazzata. Ci volle tempo, fiori e una presenza costante e silenziosa. Le spiega il mio lavoro, ci raccontammo molte verità e qualche bugia, qualche omissione, ci tenemmo per mano molte sere. Il locale era suo, eredità di un padre simpatico e presente, e di una madre alcolizzata. Questo spiegava molto, anche il suo impegno nel continuare la tradizione di famiglia. Poi una sera mi invitò da lei, in un piccolo appartamento nello stesso stabile del locale, secondo piano, grande vetrata liberty, tanti libri, un grande divano bianco, e facemmo l'amore come se io avessi sempre fatto parte della sua vita e lei dela mia. Sono passati quasi tre anni, non uso casa sua quando sono a Parigi, prendo sempre una camera nel solito albergo. Viviamo cosi, legati l'uno agli occhi dell'altra, con le mani incollate appena possibile. Il mese prossimo verrà da me in Italia, dice che mi ha dato abbastanza tempo per nascondere mia moglie e i miei quattro figli e mi sorride.Non abbiamo mai parlato di avere figli insieme, o di avere una casa in comune. Lei ha il suo bistrot, io non ho niente se non lei e questa segreta angoscia di non riuscire più a scrivere una riga di un racconto o di una poesia. Ho smesso anche di leggere. Ho pensato ad una malattia, ad un distturbo neurologico, ad un tumore cerebrale. Appena possibile mi farò visitare. ma ho l'impressione di aver perso l'anima, ma sono sempre più sereno, forse è il prezzo della felicità. Adesso mi accontento di mangiare queste ostriche grasse, bere questo buon vino e sorridere alla vecchia cameriera che mi odia.
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