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L’Uomo che Allattava i Canguri

Creato il 21 febbraio 2014 da Ilnazionale @ilNazionale

L’Uomo che Allattava i Canguri21 FEBBRAIO – Nel bel mezzo dell’outback australiano c’è un paesotto di neanche 2000 abitanti che si chiama Coober Pedy. A Coober Pedy non succede gran che, ma quel poco che succede merita di essere raccontato. Si trova in una zona desertica, a molte ore di macchina dal più vicino centro abitato, ci sono pochi alberi che sopravvivono a fatica al caldo (45 gradi, dico QUARANTACINQUE quando ci sono andata io) e al vento carico di polvere. Ci sono milioni di mosche incredibilmente moleste che ti passeggiano sulla faccia, e se ti prendi a schiaffi per scacciarle, loro mica si spostano, no. Si prendono lo schiaffo, restano lì intontite per qualche secondo e poi ricominciano a passeggiarti sulla faccia con le loro odiose zampette. Non ho mai visto delle mosche così testarde. A Coober Pedy si vendono perfino dei retini in plastica da infilarsi in testa per tenerle alla larga, ma immaginatevi il senso di soffocamento ad avere una roba di plastica in testa e sul viso quando ci sono 45 gradi. Quindi ho comprato questo gel repellente per gli insetti, una cosa super potente che millantava di funzionare contro qualunque bestia, dalle zanzare alle blatte cannibali dell’Amazzonia per finire alle tigri del Bengala. Sulla confezione c’è scritto: “Attenzione: estremamente infiammabile. Non ingerire. Evitare il contatto con gli occhi”. Aiuto! E niente, non ha funzionato nemmeno quello. Ma magari con le tigri del Bengala sarà efficacissimo. Chissà.
Insomma, ho girato per Coober Pedy avvolta da una nuvola di mosche (tipo Pig Pen, ve lo ricordate l’amico sudicio di Charlie Brown?), ma nonostante la compagnia molesta devo dire che è un posto notevolissimo. L’economia del luogo verte principalmente sull’estrazione dell’opale, un minerale prezioso che è stato scoperto qui nel 1915 da un tizio che cercava l’oro. Il turismo è la seconda voce dell’economia locale, si viene non solo a vedere le miniere ma anche questo bizzarro insediamento umano che per ovviare al problema del caldo ha pensato di costruire le abitazioni (e perfino le chiese!) in gallerie sotterranee scavate all’interno della montagna, dove c’è una temperatura costante di 24 gradi senza bisogno di aria condizionata. Il paesaggio desertico ha fornito lo scenario ideale per girare alcuni film (fra cui la serie di Mad Max, Priscilla la Regina del Deserto, Pitch Black e Until the End of the World), e il contesto è reso ancora più surreale dal fatto che la gente del posto lascia carcasse di automobili e autobus ad arrugginire davanti a casa, quindi la città è piena di rottami sparsi un po’ ovunque. L’effetto è quello di un paesaggio vagamente post-atomico. Di spazio libero ce n’è in abbondanza, di tempo pure, e quindi lasciano che siano il deserto e gli agenti atmosferici a disintegrare quello che non serve più, con tutta la flemma di questo mondo.
Di sicuro i cooberpedesi (o cooberpediani? Boh) sono dei bei personaggi. Ho conosciuto un signore di Treviso che era andato a vivere lì da piccolo, al seguito dei genitori che erano emigrati in cerca di fortuna. Non erano gli unici ad aver cercato la svolta a Coober Pedy: ci sono infatti 44 nazionalità diverse, italiani, greci, russi, tutti emigrati per lavorare nelle miniere di opale. Si dice che il circolo degli italiani sia quello in cui si mangia meglio e ci sono le feste più divertenti, guarda un po’. Il signore di Treviso mi dice che quando è arrivata la sua famiglia non c’era acqua corrente, né elettricità, mentre ora si vive benone: vita tranquilla, orari più che flessibili, niente traffico, niente stress, un sacco di spazio e tutti conoscono tutti, nessun problema di criminalità.
La tempra coriacea degli abitanti si vede già dal cartello che accoglie i visitatori all’ingresso della città, una grossa scritta “Welcome to Coober Pedy” che è stata presa a fucilate innumerevoli volte, giusto per far sapere che qua non c’è una stazione di polizia, e i contenziosi si risolvono alla vecchia maniera. Nessuno a Coober Pedy fa un lavoro solo: ad esempio, la piscina comunale è gestita dagli insegnanti della scuola locale: infatti è aperta dalle 6.30 alle 8.45 del mattino, poi chiude per permettere agli insegnanti di andare a scuola, e riapre nel pomeriggio.
Chiunque può fare il minatore, e i minatori sono imprenditori di loro stessi: scelgono un punto nel mezzo del deserto, iniziano a scavare e vanno avanti finchè non trovano qualcosa. Intorno a Coober Pedy ci sono chilometri e chilometri di terra tutta bucherellata, e dei cartelli che invitano a prestare attenzione, perché se ti distrai a guardare per aria potresti finire in un buco fondo anche una dozzina di metri, e allora chi ti trova più?
Molti di loro si sono costruiti la casa con le loro mani, comprandosi un pezzo di terra e un po’ alla volta, mattone dopo mattone, ne viene fuori una reggia stile Playboy Mansion. La pazienza non gli manca, il tempo neanche.
Crocodile Harry, invece, era una specie di avventuriero passato attraverso mezza Australia e svariati lavori (fra cui, appunto, il cacciatore di coccodrilli) e approdato a Coober Pedy, dove si è costruito una casa stramba e a dir poco ruspante nei cunicoli polverosi della montagna, arredandola con poltrone sfondate e manichini fatti di ossa di animali. La chiamò “Crocodile Harry’s Underground Nest”. Nel 1984, mentre giravano un film della serie di Mad Max, Crocodile Harry diede una festa per la troupe, a cui poteva partecipare chiunque, bastava chiedere ospitalità e magari portare qualche birra. La festa riuscì così bene che si aggrego sempre più gente, alcuni se ne andavano ed altri arrivavano, e così continuò, se ricordo bene, fino al 2004, anno del decesso di Crocodile Harry. I reggiseni delle ospiti particolarmente festaiole sono ancora appesi, a mo’ di trofei, a chiodi fissati alle pareti.
Momento epico della mia visita a Coober Pedy è stato il Josephine’s Gallery & Kangaroo Orphanage. Trattasi di un orfanotrofio per canguri, ebbene sì. Un’adorabile coppia di mezza età raccatta orfanelli di canguro da mezza Australia. Spesso le loro mamme vengono investite per strada (quasi ne stiravo uno anch’io, sarei stata dilaniata dal rimorso per il resto dei miei giorni), e i cuccioli sbalzati fuori dal marsupio. Gli automobilisti raccolgono l’orfanello e lo mandano a quest’orfanotrofio, che lo accudisce amorevolmente, anche perché non è possibile poi per i canguri ritornare allo stato brado. Ho conosciuto quindi il piccolo Ari, un esile fantolino di 5 mesi tutto orecchie, che se ne stava in una culla imbottita e veniva nutrito con un biberon ogni quattro ore, con conseguenti sveglie notturne della coppia per allattare la creatura. Che buona volontà!
La sera stessa ho incontrato di nuovo L’Uomo che Allattava i Canguri al pub, e ho tentato di intavolare una conversazione pseudo-intellettuale sulla condizione degli aborigeni, ma sfortunatamente lui era avviato verso il quarantacinquesimo cicchetto e proprio lucidissimo non era.
In conclusione, Coober Pedy è un bel posto? No, bello non direi. È interessante, ecco. È diverso da qualunque altro posto in cui siate mai stati. Ma di sicuro una città nel deserto costruita in cunicoli dentro la montagna, piena di rottami d’auto lasciati ad arrugginire, e abitata da personaggi come L’Uomo che Allattava i Canguri merita una visita: dopotutto, l’Australia non è solo Opera House di Sydney e surfisti!
Sarah Baldo

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