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“L'uomo che andava al cinema” di Walker Percy

Creato il 23 marzo 2011 da Sulromanzo

L'uomo che andava al cinemaWalker Percy, scrittore americano nato in Alabama, non ebbe un'esistenza troppo felice, a quanto pare. Eppure nel suo L'uomo che andava al cinema, riportato in libreria da Marcos y Marcos nel 2010, a cinquant'anni dalla sua uscita originale, si avverte l'anelito alla gioia, una felicità grande sebbene fatta di piccoli gesti, uno sfiorarsi di mani, il fruscìo del vento, lo “spirito” di un luogo. Se c'è una cosa che più di tutte Percy riesce a regalarci è il sentimento di tensione all'elevazione dalla grigia ricorsività della vita. L'incipit ci dà la misura della narrazione:

 

«Questa mattina ho ricevuto un biglietto da mia zia nel quale mi chiede di andare a colazione da lei. So cosa significa.»

 

La storia di Binx Bolling, agente di cambio, si inserisce nel contesto di quella che potrebbe essere una saga familiare sui generis; tuttavia la personalità (e il personaggio) del protagonista emergono con prepotenza, staccandosi dallo sfondo. Binx ha dentro di sé una tristezza quieta che, in qualche modo, lo relega in un singolare limbo: sentirsi inadatti ai rapporti interpersonali, segnatamente a quelli amorosi, eppure desiderare un viaggio in macchina con la segretaria, sfrecciando nel vento. Il nostro eroe parla di una famigerata Ricerca che ha intrapreso; ma forse, in fin dei conti, la prima e più importante ricerca è quella da fare nel proprio cuore. Non è un caso se, a un certo punto, la voce narrante afferma:

 

«Da qualche tempo ho l'impressione sempre più netta che tutti siano morti.»

 

L'ineluttabilità del destino, agli occhi di Binx, pesa sulle esistenze degli umani, ridotti ad automi che si lasciano vivere, e sui quali incombe la fine; mentre si attende la morte, però, si cerca la vita:

 

«Laddove c'è un possibile guadagno, c'è anche una possibile perdita. Ogni volta che si corteggia una grande felicità, si rischia anche di imbattersi nel disagio.»

 

E la vita, quasi paradossalmente, è ciò che Bolling trova in Kate, lunatica, affascinante, volubile, fragile fino all'estremo dell'inazione. I due si osservano convergere l'uno verso l'altra, quasi come se non ci fossero altre possibilità. L'uomo che andava al cinema si snoda agilmente tra descrizione e riflessione; Binx e Kate “esondano” dalla pagina, tanta e tale è la loro disperata umanità. E la scrittura di Percy, procedendo a strappi, asseconda una vicenda che non ha nulla di speciale ma che, forse proprio per questo, è “straordinaria”. È questo lo spirito che si coglie appieno quando Binx afferma, verso la fine del romanzo:

 

«Oggi è il mio trentesimo compleanno e sono seduto sulla giostra nel cortile della scuola, aspetto Kate e non penso a niente.»

 

La modernità di questo romanzo stravolge; è un testo che lavora dentro con perizia, un romanzo nel quale sembra difficile che ciascun lettore non ritrovi qualcosa di sé.


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