“Come un romanzo” non è solo il titolo di un saggio di Pennac, ma è anche un possibile modo di considerare la letteratura medica. E se vi sembra inconcepibile gustare una raccolta di casi clinici come un romanzo, allora non conoscete i libri di Oliver Sacks. Questo nome non vi dice nulla? Eppure sono certo che molti di voi avranno visto Risvegli, il famoso film in cui Robin Williams interpretava un personaggio ispirato proprio al dottor Sacks. Ma non è di Risvegli che intendo parlarvi, bensì di un libro sorprendente, toccante e al contempo divertente: L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello.
Il curioso titolo – che non allude al baratto di un marito infelice – si riferisce a uno dei bizzarri pazienti di Oliver Sacks, un malcapitato che, affetto da una forma di agnosia visiva, era solito non distinguere i volti, o scorgerli là dove non c’erano: «per strada, come il buon Magoo, gli capitava di dare affettuosi colpetti agli idranti e ai parchimetri scambiandoli per teste di bambini; rivolgeva gentilmente la parola ai pomelli dei mobili e si stupiva di non ricevere risposta». Ma se quest’uomo apparve sempre divertito e mai turbato dai propri abbagli, ben diverso fu il caso di Christine (La disincarnata), una ragazza che, per via della totale perdita di propriocezione, arrivò a sentirsi svuotata e disossata, con la sensazione di non possedere più un corpo, e quindi un io. Ma Christine, per il suo medico, fu soprattutto «una degli sconosciuti eroi ed eroine delle malattie neurologiche».
La peculiarità di questo saggio medico è che Oliver Sacks non si riferisce mai ai suoi pazienti come a dei “casi clinici”, ma ne parla sempre con ammirazione, quasi fossero i protagonisti di gesta mitologiche o di avventure fantastiche, fiabesche. Ecco allora le incredibili peripezie de Il marinaio perduto, un uomo colpito da amnesia e convinto di trovarsi negli anni ’40, o la strana storia de L’uomo che cadde dal letto, destatosi una notte con l’incrollabile certezza che la sua gamba sinistra non fosse più la sua, tanto da buttarla con forza giù dal letto… e finendo ovviamente per andarle dietro con tutto il resto del corpo.
Le vicende narrate da Oliver Sacks – ventiquattro in tutto – si concludono talvolta in modo brusco, senza un finale “letterario”. Il motivo è che lo stesso Sacks non conosce l’esito di tutte le storie, in quanto egli, da neurologo, ha potuto seguire i suoi pazienti solo fintantoché le cure lo richiedevano. E parliamo di cure di trent’anni fa, quando in assenza di risonanza magnetica funzionale e di stimolazione magnetica transcranica gli strumenti più usati erano il tachistoscopio e il temporizzatore per la misura dei tempi di reazione. Ma poco importa, perché ciò non va minimamente ad intaccare il valore di queste pagine sull’impredicabilità della vita. I protagonisti di queste storie hanno saputo reagire alle loro disfunzioni nei modi più impensabili, mossi solo dal traboccante amore per la vita che ha profondamente coinvolto il loro medico.
Ho già recensito degli studi clinici di trent’anni fa senza curarmi troppo del fatto che i test esposti in quel libro (messaggi subliminali e tachistoscopio) siano oggi un po’ datati. E concludo anzi con una considerazione del 1939 di W. R. Houston, il quale, in un articolo intitolato The doctor himself as a therapeutic agent, illustrò come, nella storia della medicina, la relazione tra medico e paziente sia stata spesso tutto ciò che il medico aveva da offrire al paziente stesso. In altre parole: per molti secoli l’abilità dei medici stava tutta o quasi nel trattare le emozioni degli uomini e nell’ascoltare le storie che avevano da raccontare. Un po’ come Oliver Sacks, l’uomo che amava i pazienti.
Andrea Corona
Oliver Sacks, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello [1985], Adelphi, Milano 2008, 153 pp., 12,90 euro.