Ieri sera dopo cena sono tornata alla stazione, ma non per prendere il treno, per una volta. Nel piazzale della stazione andava in scena "L'uomo col fiore in bocca" di Luigi Pirandello: non avevo mai visto quest'opera teatrale, in realtà non l'avevo neanche letta, e sono stata felice di aver avuto questa occasione, proprio vicino a casa, proprio nella stazione da dove ogni giorno partono i miei viaggi pendolari.
Qui trovate notizie sull'evento.Si tratta di un atto unico, di durata abbastanza breve, in cui uno sconosciuto, malato terminale di cancro, si racconta a un viaggiatore che ha appena perso il treno, nel caffè di una piccola stazione di provincia. Il dialogo tra una persona "comune" ed una che sa di essere a breve condannata ci fa riflettere sul rapporto dell'uomo con la morte. Per l'uomo dal fiore in bocca, che sa di avere a disposizione ormai poco tempo, tutti i particolari e le sfaccettature della vita di tutti i giorni assumono un valore immenso.
Una nota particolare: la rappresentazione doveva iniziare con la partenza del treno per Firenze Santa Maria Novella, che, come al solito, è arrivato con venti minuti di ritardo! Più realistico di così...
Riporto alcune parti dell'opera, qui trovate il testo integrale.
L'uomo dal fiore. [...]
E così, ha lasciato tutti quei pacchetti in deposito alla stazione?
L'avventore. Perché me lo domanda? Non vi stanno forse sicuri? Erano tutti ben legati...
L'uomo dal fiore. No, no, non dico!
Eh, ben legati, me l'immagino: con quell'arte speciale che mettono i giovani di negozio nell'involtare la roba venduta...
Che mani! Un bel foglio grande di carta doppia, rossa, levigata... ch'è per se stessa un piacere vederla... così liscia, che uno ci metterebbe la faccia per sentirne la fresca carezza... La stendono sul banco e poi con garbo disinvolto vi collocano su, in mezzo, la stoffa lieve, ben piegata. Levano prima da sotto, col dorso della mano, un lembo; poi, da sopra, vi abbassano l'altro e ci fanno anche, con svelta grazia, una rimboccaturina, come un di più per amore dell'arte; poi ripiegano da un lato e dall'altro a triangolo e cacciano sotto le due punte; allungano una mano alla scatola dello spago; tirano per farne scorrere quanto basta a legare l'involto, e legano così rapidamente, che lei non ha neanche il tempo d'ammirar la loro bravura, che già si vede presentare il pacco col cappio pronto a introdurvi il dito.
L'avventore. Eh, si vede che lei ha prestato molta attenzione ai giovani di negozio.
L'uomo dal fiore. Io? Caro signore, giornate intere ci passo. Sono capace di stare anche un'ora fermo a guardare dentro una bottega attraverso la vetrina. Mi ci dimentico. Mi sembra d'essere, vorrei essere veramente quella stoffa là di seta... quel bordatino... quel nastro rosso o celeste che le giovani di merceria, dopo averlo misurato sul metro, ha visto come fanno? se lo raccolgono a numero otto intorno al pollice e al mignolo della mano sinistra, prima d'incartarlo.
Guardo il cliente o la cliente che escono dalla bottega con l'involto appeso al dito o in mano o sotto il braccio... Li seguo con gli occhi, finché non li perdo di vista... immaginando... - uh, quante cose immagino! Lei non può farsene un'idea.
Pausa - Poi, cupo, come a se stesso:Ma mi serve. Mi serve questo.
L'avventore. Le serve? Scusi... che cosa?
L'uomo dal fiore. Attaccarmi così - dico con l'immaginazione - alla vita. Come un rampicante attorno alle sbarre d'una cancellata.
Ah, non lasciarla mai posare un momento l'immaginazione: - aderire, aderire con essa, continuamente, alla vita degli altri... - ma non della gente che conosco. No, no. A quella non potrei! Ne provo un fastidio, se sapesse, una nausea. Alla vita degli estranei, intorno ai quali la mia immaginazione può lavorare liberamente, ma non a capriccio, anzi tenendo conto delle minime apparenze scoperte in questo e in quello. E sapesse quanto e come lavora! fino a quanto riesco ad addentrarmi! Vedo la casa di questo e di quello; ci vivo; mi ci sento proprio, fino ad avvertire... sa quel particolare alito che cova in ogni casa? nella sua, nella mia. - Ma nella nostra, noi, non l'avvertiamo più, perché è l'alito stesso della nostra vita, mi spiego? Eh, vedo che lei dice di sì...
[...]Non vede la relazione? Neanche io.
Ma è che certi richiami d'immagini, tra loro lontane, sono così particolari a ciascuno di noi; e determinati da ragioni ed esperienze così singolari, che l'uno non intenderebbe più l'altro se, parlando, non ci vietassimo di farne uso. Niente di più illogico, spesso, di queste analogie.
[...]
Io le dico che ho bisogno d'attaccarmi con l'immaginazione alla vita altrui, ma così, senza piacere, senza punto interessarmene, anzi... anzi... per sentirne il fastidio, per giudicarla sciocca e vana, la vita, cosicché veramente non debba importare a nessuno di finirla.
Con cupa rabbia:E questo è da dimostrare bene, sa? con prove ed esempi continui, a noi stessi, implacabilmente. Perché, caro signore, non sappiamo da che cosa sia fatto, ma c'è, c'è, ce lo sentiamo tutti qua, come un'angoscia nella gola, il gusto della vita, che non si soddisfa mai, che non si può mai soddisfare, perché la vita, nell'atto stesso che la viviamo, è così sempre ingorda di se stessa, che non si lascia assaporare. I1 sapore è nel passato, che ci rimane vivo dentro. I1 gusto della vita ci viene di là, dai ricordi che ci tengono legati. Ma legati a che cosa? A questa sciocchezza qua... a queste noje... a tante stupide illusioni... insulse occupazioni... Sì, sì. Questa che ora qua è una sciocchezza... questa che ora qua è una noja... e arrivo finanche a dire, questa che ora è per noi una sventura, una vera sventura... sissignori, a distanza di quattro, cinque, dieci anni, chi sa che sapore acquisterà... che gusto, queste lagrime... E la vita, perdio, al solo pensiero di perderla... specialmente quando si sa che è questione di giorni.