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L’uomo col megafono cercava, sperava, tentava di bucare il cemento e gridava nel vento parole di avvertimento e di lotta, ma intanto la voce era rotta e la tosse allungava i silenzi, sembrava che fosse questione di pochi momenti, ma invece di nuovo la voce tornava, la voce tornava…
Compagni! Amici! Uniamo le voci! Giustizia! Progresso! Adesso! Adesso!
L’uomo e il suo megafono sembravano staccati dal mondo, lui così magro, profondo e ridicolo insieme, lo sguardo di un uomo a cui preme davvero qualcosa, e che grida un tormento reale, non per un esaurimento privato e banale, ma proprio per l’odio e l’amore, che danno colore e calore, colore e calore ma lui… soffriva… lui soffriva… davvero
Compagni! Amici! Uniamo le voci! Giustizia! Progresso! Adesso! Adesso!” Qualche giorno fa, guidando, ho sentito alla radio questa bella canzone di Daniele Silvestri. Mi era piaciuta; non avrei saputo dire perchè in quel momento, ma mi era piaciuta un sacco. Così l’ho cercata su internet per riascoltarla. Quella canzone mi dava un senso di familiarità che però non riuscivo a distinguere. Non riuscivo a mettere a fuoco la situazione che si nascondeva dietro a quella sensazione… Poi, a un certo punto, ho capito. Filippo Bellissima. L’uomo col megafono. Quell’anziano signore che tutte le mattine, con il suo microfono dotato di amplificatore, accoglieva studenti, lavoratori, pendolari e barboni sulla Piazza della Stazione, con le seguenti parole: “Pecore. Siete tutti pecore”. Mormorava quelle parole, che avevano un che di lugubre, e allungava volutamente la “e” finale come fosse un belato, il nostro belato. Quello della gente che ogni mattina si alza, si lava, si veste ed esce, per andare a scuola, in ufficio, a lavoro. Che insomma affronta la vita, con più o meno entusiasmo. Spesso si spostava, seguendo il gregge che trotterellava verso l’impegno quotidiano. E continuava con il suo repertorio. Se sceglieva di seguire noi studenti, si piazzava davanti ai cancelli del Liceo, e qui, con voce più squillante, iniziava a proclamare la consueta litania: “Preside Stronzo! Presidente Stronzo” elencando a seguire tutte le più alte cariche istituzionali che gli venivano in mente. A volte arrivava perfino a redigere dei volantini contenenti le sue idee principali, che distribuiva alle persone, o che gettava più semplicemente a terra, incurante del fatto che qualcuno le leggesse davvero. Era minuto, la barba e i capelli bianchi, una giacca di velluto a coste e un berretto calcato bene sulle orecchie. Usciva sempre, con la pioggia e col sole, col freddo e col caldo, a volte in bici, trasportando un cagnetto nel cestino. E si scagliava contro il malgoverno, malediceva le ingiustizie, come la mancanza di lavoro per i giovani o la fame nel mondo. I suoi pensieri erano assunti che brillavano per logica ed eloquenza, e si esplicavano con una retorica capace di far impallidire il migliore avvocato del Foro. Appena scesa dal pullman, assonnata e un pò preoccupata per il compito di matematica che di lì a poco avrei dovuto affrontare, lo ascoltavo declamare queste sue idee, ammirata e sconcertata al tempo stesso. Per quella sua speranza di bucare il cemento delle nostre menti annebbiate dal sonno. Per quella non curanza verso chi lo prendeva per matto. Per quella forza con cui credeva ai propri argomenti. Proprio come si dice nella canzone. Sono quasi sicura che Daniele Silvestri si sia ispirato a Filippo Bellissima. Non avrebbe potuto descriverlo meglio.
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