In un primo momento, appresa la notizia, ma nel più generale contesto della minaccia avanzata dall'Isis e dall'estremismo islamico, non ho potuto non pensare alla massima di Karl Marx: «La religione è l'oppio dei popoli», un concetto che affonda le basi nel materialismo antico (Lucrezio sosteneva il medesimo pensiero, quando additava i delitti commessi in nome degli dèi) e che spiega tanti avvenimenti della storia, di cui lo stesso mondo cristiano si è spesso reso protagonista.
Ma è sbagliato: ad aver ucciso ieri i vignettisti di Charlie o nel secolo scorso di Ebrei o mille anni fa i musulmani in Terra Santa non è stata la fede, ma l'oscurantismo che non ha altra devozione che verso l'ignoranza e la paura. È religio non nel senso moderno, ma nel suo significato etimologico originario: superstizione, pregiudizio, cecità.
L'uccisione della libertà di pensiero non ha nulla a che fare con il divino e credo che sarebbe tempo di smettere di associare alle parole terrorismo e guerra aggettivi di carattere religioso, perché si va ad alimentare un mito che non ha ragione di esistere e va stigmatizzato: nessuna guerra è santa, perché santo non è ciò che distrugge la vita e l'essenza dell'uomo, che risiede nella sua capacità di pensare e concepire il mondo. Per lo stesso motivo, tanta pubblicità alle imprese terroristiche (come la nauseante replica televisiva dei video delle esecuzioni, pur interrotti prima dell'atto di sangue) porta acqua al mulino della causa della paura, che vuole un mondo buio, dominato da fantasmi e non da uomini, come lo volevano gli Inquisitori che mettevano al rogo persone e libri.
Manifestanti in Place de la République (foto da La Repubblica)
In Italia contestare un dogma, una pratica cattolica o persino una stortura strumentale è un tabù così forte che difficilmente permette di capire la portata dell'azione di Charlie Hebdo, che da sempre pubblica vignette molto irriverenti che coinvolgono anche l'aspetto religioso della società e della cultura. La Francia è ben diversa da noi: dall'Illuminismo in avanti ha sempre affermato la laicità e il libero pensiero e il giornalismo è sempre stato in prima linea in questo contesto (basti, come esempio, l'effetto del Caso Dreyfus, che, sull'onda lunga, ha prodotto enormi rivolgimenti politici che hanno coinvolto anche i rapporti stato-chiesa).
Una vignetta, uno scritto, un libro, un film, un documentario possono senza dubbio infastidire, ma esiste un fondamentale diritto alla libera espressione del pensiero che ha come unica limitazione quella del rispetto della legge e come unica forma ammissibile di contrasto il contenzioso giuridico. Nessuna presa di posizione giustifica un'azione di violenza: quando un'arma fa fuoco contro una persona che scrive, non viene ucciso un individuo, ma demolita la base stessa della civiltà, scardinato un diritto che è l'unica garanzia per gli uomini di essere davvero uguali, indipendenti e liberi da costrizioni e paure. Una religione che uccide per eliminare questo diritto non è tale, qualsiasi sia il nome che essa si attribuisce: si tratta di un artificioso monstrum creato dagli uomini per i loro indegni giochi di potere e dominazione. Nella strage di Charlie Hebdo non c'è alcuna azione eroica, ma solo un atto di assoluta vigliaccheria di chi, per spezzare una penna, deve ricorrere al kalashnikov. Quindi parliamo di terrorismo e basta.
Manifestanti in Place de la République (foto da La Repubblica)
Fino a ieri, come tanti, non sapevo nemmeno che esistesse Charlie Hebdo: se l'intenzione dei tre attentatori era quella di mettere a tacere un pensiero a loro sgradito, è evidente che non hanno fatto altro che produrre dei martiri e diffondere il pensiero degli autori in tutto il mondo, rendendolo inevitabilmente più tollerabile anche agli occhi di chi, leggendo quelle vignette in condizioni di totale calma e anonimato, le avrebbe immediatamente censurate o ignorate. Charlie Hebdo, ora, fa parte della storia mondiale.Il fuoco dei libri bruciati ha sempre alimentato solo la fiamma del desiderio di libertà e oggi, anche se tante parole possono suonare vuote, puramente retoriche o inutili a qualsiasi beneficio pratico, possiamo dire che lo stesso accadrà con Charlie Hebdo: una matita spezzata ne ha fatte sollevare tante altre, perché Charlie non è più solo una rivista, ma, come recitavano gli uomini e le donne riuniti ieri sera a Place de la République, «Siamo tutti Charlie»: la minaccia mossa al libero pensiero ci minaccia tutti, tutti siamo stati colpiti dalla violenza, se davvero abbiamo idea di quanto sia prezioso poter autonomamente riflettere e comunicare.
Manifestanti in Place de la République (foto da La Repubblica)
«Quando un uomo con il fucile incontra un uomo con la biro, l'uomo con il fucile è un uomo morto, perché la biro dà l'eternità» Roberto Benigni
C.M.