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L'uomo con la macchina da presa

Creato il 12 febbraio 2013 da Eraserhead
L'uomo con la macchina da presaIn italiano “esperienza” ed “esperimento” possiedono la medesima radice linguistica, nel cinema questi due lemmi si coniugano spesso in maniera felice, e quando accade ciò la metabolizzazione dell’opera si fa indicibile, il carico è sfaccettato e non ha maniglie per essere afferrato, si profila perciò un flusso interiore soltanto esperibile, nel senso che la visione esperienziale si costituisce in un alveo fortemente sperimentale. Chelovek s kino-apparatom (1929), film che pur avendo linee espressive ormai preistoriche (è un muto, ma in Rete si trova anche musicato), sa essere uno sguardo futuristico ancora da venire, è emblema di un’avanguardia artistica che traduce la visione oggettiva in coinvolgimento personale.
Questa pellicola sovietica si prefigura come un Koyaanisqatsi (1982) ante litteram per il suo vagabondare tra i luoghi della civiltà (siamo ad Odessa) che annoverano le più svariate forme di sussistenza, di categorie: di barboni, di operai/e, di sportivi. Il taglio politico sottolineato da Wikipedia (link) scivola in secondo piano se viene preso in esame quello strettamente conoscitivo: qui è un cinema che parla di sé, che si sgancia dalla fiction per investigare la propria teoresi, che snocciola le sue qualità intrinseche e la malleabilità che lo caratterizza. Le sovrimpressioni, il taglia e cuci dei fotogrammi, gli effetti ottici dell’operatore che prima è una formica sopra la mdp e subito dopo è un gigante che sovrasta la città, sono tutte infrazioni improntate a scardinare il patinato mondo dello spettacolo. E la scena della cinepresa che danza da sola sul cavalletto è la benedizione del medium da parte di Vertov, strumento che pur riconoscendosi nella sovrapposizione con l’uomo (l’occhio-obiettivo) sa essere autonomo e straordinariamente vivo.

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