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L’uomo d’acciaio (3D)

Creato il 02 luglio 2013 da Af68 @AntonioFalcone1

vvvDecisa a far ripartire da zero il mito del supereroe “alieno fra noi” (nato nel 1932 ad opera di Jerry Siegel e Joe Shuster, pubblicato dalla National Periodical Publications, poi DC, il 10 giugno 1938, sul n. 1 di Action Comics), la Warner Bros nel mettere in campo L’uomo d’acciaio si è affidata alla regia di Zack Snyder, assicurandosi la presenza di Christopher Nolan come produttore, nonché autore del soggetto insieme a David S. Goyer, sceneggiatore definitivo, dopo il fallimentare tentativo datato 2006 (Superman Returns, diretto da Bryan Singer), che si riallacciava idealmente alla saga cinematografica avviata da Richard Donner nel ’78, proseguita da R. Lester (’80 e ’83) e conclusa, malamente, da Sidney J.Furie (‘87).

Christopher Reeve  (Superman, '78)

Christopher Reeve (Superman, ’78)

Sinceramente, sia come cinefilo che appassionato di fumetti, sono rimasto deluso dalla visione del film, perché quanto sulla carta (e dai primi trailer) sembrava delinearsi come un’efficace ed inedita rilettura delle origini di Kal- El, piuttosto nolaniana nei toni realisti e nel visualizzare i tormenti interiori del protagonista, lontana dalla versione scanzonata e un po’ ingenua offerta anni fa da Donner e, soprattutto, Lester, alla resa definitiva sul grande schermo ha visto frantumarsi di colpo queste buone intenzioni. Ho trovato infatti la narrazione poco omogenea, complice una sceneggiatura gracile nel conferire un minimo di spessore drammaturgico alle varie tematiche delineate e comunque destinata ben presto a soccombere in nome di una spettacolarità sin troppo roboante ed esibita, in particolare nel lungo, interminabile, finale.

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Snyder è un regista dalle intuizioni felici, vedi l’uso della macchina a spalla, le cui riprese si rivelano funzionali a farci entrare in relazione con i disagi esistenziali del protagonista, che, complice la particolare fotografia, tendente al grigio, di Amir M. Mokri, conferiscono un curioso effetto documentaristico, ma non ancora capace di resistere alla distanza, in opere di lunga durata.
Supplisce alle lacune narrative con barocchismi visivi al limite dell’ umana sopportazione (buoni per uomini d’acciaio, appunto …), con l’aggravante di un 3D, aggiunto in fase di postproduzione, del tutto inutile, che mal si adatta alle scelte registiche di cui sopra. La sensazione definitiva è quella di aver assistito ad un episodio pilota di quanto ci verrà proposto in seguito, prassi cinematografica ormai sin troppo abituale in quel di Hollywood, che può suddividersi in tre atti, dalla resa visiva ed emozionale di portata variabile.

Russell Crowe

Russell Crowe

S’inizia con un bel prologo in quel di Krypton, un tempo pianeta prospero ma ormai prossimo all’implosione causa sfruttamento eccessivo delle risorse naturali: Lara Lor-Van (Ayelet Zurer), assistita dal marito Jor-El (Russel Crowe), ha appena dato alla luce un maschietto, Kal- El, prima creatura concepita naturalmente dopo tanto tempo, atto di ribellione al rigido determinismo istituzionale, in virtù del quale ogni bambino viene al mondo “creato” geneticamente e predisposto al compito che dovrà svolgere una volta adulto.
Scelta dolorosa ma necessaria, il neonato verrà inviato tramite apposita navicella su un avamposto di Krypton “che sembra popolato da creature intelligenti”, ovvero la Terra, insieme ai codici genetici di cui aveva cercato d’appropriarsi il generale Zod (Michael Shannon), mettendo in atto un golpe nel tentativo estremo di salvare il pianeta, ma prontamente condannato all’esilio, insieme ai suoi sgherri, nella Zona Fantasma.
Diane Lane e Kevin Kostner

Diane Lane e Kevin Kostner

Giorni nostri: ormai adulto, Kal- El (Henry Cavill) vaga per l’ America, svolgendo vari lavori, una sorta di deserto emotivo alla continua ricerca di se stesso, cresciuto negli anni con premura ed affetto da babbo e mamma Kent (Kevin Costner e Diane Lane) come un bambino qualsiasi, chiamato Clark, nella cittadina di Smallville.
Da una serie di flashback non seguenti un preciso ordine temporale, apprendiamo i suoi trascorsi da emarginato, nell’intuizione di una pesante diversità e nella difficoltà di gestire i suoi poteri, combattuto tra la necessità di offrirli a mondo e la paura delle reazioni degli umani.
Una volta assunta la consapevolezza del proprio essere alieno, grazie ad un confronto con il fantasma (interattivo) del padre celeste, al’interno di un’astronave kryptoniana nascosta da millenni fra i ghiacciai terrestri, per il nostro, sulle cui tracce si è intanto attivata la valente giornalista del Daily Planet di Metropolis, Lois Lane (Amy Adams), giungerà il momento della scelta definitiva, anche perché il redivivo generale Zod sta per attaccare la Terra, meditando tremenda vendetta…
Henry Cavill

Henry Cavill

Buone le interpretazioni offerte dai “comprimari di lusso” Crowe, Costner e Lane, più di quanto offerto dal protagonista Cavill (fisico atto alla bisogna, ma espressività monolitica), mentre nutro qualche riserva sul personaggio di Lois, reso tanto dallo script che dalla Adams con una certa superficialità, e sulla caratterizzazione da villain programmato delineata da Shannon. Ho avvertito la mancanza, in particolare, “della materia di cui è fatto Superman”, trattata fra le righe e “sublimata” sbrigativamente da pedestri riferimenti cristologici (la discesa dalle stelle, il confronto fra due padri che vogliono entrambi il bene del figlio, da esprimersi comunque con una scelta, il vagare prima dell’assunzione del carico definitivo, a 33 anni, con tanto di Getsemani preparatorio, un colloquio fra Clark ed un prete all’interno di una chiesa).
Amy Adams

Amy Adams

Mi riferisco al supereroe che accetta di concretizzarsi come tale per supplire alle mancanze del genere umano, a ciò che quest’ultimo non riesce a mettere in atto più per mancanza di potenzialità che volontà: Kal-El ha compreso, da essere superiore, che questo mondo, più che di ribellione volta alla vana ricerca di un significato, ha semplicemente bisogno di un atto d’accettazione complessivo, ferma restando la lotta contro ogni ingiustizia, nel rispetto d’ogni forma d’esistenza.
Almeno questa è la mia interpretazione del personaggio conseguente alla lettura delle sue avventure su carta, chiaro che ognuno avrà la sua, ci mancherebbe, ma resto del’idea che in campo cinematografico l’uomo d’acciaio sia ancora alla ricerca, se non altro, di un valido compromesso fra il disinvolto ed ironico svolazzare degli anni ’80 e un approfondimento meno meccanico e preordinato alla spettacolarizzazione fine a se stessa, atto a conferire opportuno risalto ad ogni ambiguità e sfumatura caratteriale.
Michael Shannon

Michael Shannon


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