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L’Uomo d’Acciaio. Recensione.

Creato il 26 giugno 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online
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Superman è il supereroe più famoso, talmente famoso che il suo nome è diventato un’espressione del linguaggio comune (“non sono mica Superman”). Dopo quel Superman Returns del 2006 che aveva giocato un pò troppo sugli stereotipi del personaggio senza aggiornalo per il pubblico del nuovo millennio, la DC ci riprova affidando la sua icona alla regia di Zack Snyder (che diresse i 300 spartani),e al soggetto di Christopher Nolan e David Goyer, che hanno rivitalizzato Batman.

L’Uomo d’Acciaio inizia raccontando le origini del personaggio: sul pianeta Krypton, destinato al collasso, dove Jor-El (Russel Crowe) sceglie di mandare il figlio sulla Terra per salvarlo, sfidando l’autorità del generale Zod. Giunto sulla Terra il piccolo Kal viene adottato dalla famiglia Kent e qui emerge la prima anomalia positiva del film: i supereroi con superproblemi sono sempre stati il motto di casa Marvel, la chiave del successo che rendeva più umani i personaggi agli occhi del pubblico. Di Superman (targato DC Comics) si è sempre detto che era il meno coinvolgente: alieno, invincibile, perfetto, privo di difetti.

Che superproblemi potrebbe avere un essere del genere? Forse l’integrazione. La consapevolezza dei suoi poteri e della sua diversità sin dall’infanzia e il timore di mostrarsi ai suoi coetanei, la paura di essere rifiutato e l’isolamento. Toccanti flashback, in cui compare Papà Kent (Kevin Costner), accompagnano un Clark (Henry Cavill) alle prime armi, desideroso di salvare vite umane dopo non esser riuscito a salvare il padre adottivo.

La pellicola si sofferma su diversi aspetti, raccontando con cura le origini, le scelte e le motivazioni del protagonista ma anche della sua nemesi. Quando il Generale Zod (Michael Shannon) arriva sulla terra, dopo l’esilio che lo aveva salvato dalla distruzione di Krypton, il suo ruolo di “cattivo” emerge poco alla volta, giustificando la sua natura tirannica in maniera più interessante dell’esser “semplicemente cattivo” con cui sovente i film motivano gli antagonisti. Lois Lane (Amy Adams), forse è un pò troppo “prezzemolina”, finendo per comparire sulla scena anche quando non dovrebbe e costruendo in maniera affrettata il suo rapporto con Superman. Tuttavia il personaggio mantiene a sufficienza l’ intraprendenza e la verve che la caratterizzano.
Nel corso del film non manca l’azione, tanta e spettacolare, con quel picco di catastrofismo che sarebbe logico aspettarsi quando fanno a botte personaggi con la forza di smuovere montagne. In particolare è innegabile la grande cura e originalità nel design e nella rappresentazione della tecnologia Kryptoniana, che aggiunge identità al tutto. I dialoghi e l’atmosfera, perfettamente calzanti al personaggio, fanno il resto.

Superman: l’Uomo d’Acciaio è  un raro caso di film supereroistico che merita in pieno questa definizione. Riunisce tutti gli elementi chiave del genere, puntando ad una forte epicità, preferendo la caratterizzazione dei personaggi anziché rincorrere risate facili per piacere al pubblico, e senza rinunciare a scene entusiasmanti (come il combattimento aereo tra Superman e Zod) e registicamente perfette.
Forse la soluzione della Dc Comics è preferibile: cadenza di film più diluita, anzichè le 3 o 4 pellicole Marvel a cadenza annuale che rischiano di inflazionare il genere, ma con più attenzione alla qualità.

Articolo di Francesco Dovis


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