Il risultato degli studi: migrazioni
La pubblicazione nel settembre 2014 del monumentale libro (quasi 700 pagine, già esaurito, si può solo acquistare l’ebook), Kennewick Man: The Scientific Investigation of an Ancient American Skeleton, edito dall’antropologo fisico Douglas Owsley dello Smithsonian Institution e Richard Jantz dell’Università del Tennessee e pubblicato dalla Texas A&M University Press, rappresenta al momento la più completa analisi di uno scheletro Paleoindiano mai fatta, nonostante le condizioni precarie in cui le agenzie governative hanno costretto gli scienziati a lavorare.
Ventidue scienziati hanno esaminato le quasi trecento ossa e i frammenti dello scheletro (manca solo lo sterno e qualche ossicino delle estremità), ricomponendolo per determinare l’età, il peso, l’altezza, la corporatura, stato generale di salute e ferite. Poi lo hanno nuovamente scomposto per studiare a fondo certe ossa chiave, come ossa lunghe e costole, e facendo una scansione CT assai ‘pesante’ in quanto a radiazioni in modo da produrre immagini tridimensionali dettagliatissime che permettessero di ‘tagliare a fette’ digitalmente le ossa a seconda delle esigenze. Hanno fatto una replica della punta di lancia nell’osso del fianco e, infine, hanno fatto una replica in resina estremamente accurata di tutto lo scheletro per poterlo studiare anche senza poter avere le ossa originali. Ora abbiamo un’idea di chi fosse l’Uomo di Kennewick, dove ha vissuto, in che modo e dove ha viaggiato. Sappiamo come fu sepolto e come venne nuovamente alla luce.
Uno dei curatori del libro, Douglas Owsley, è convinto che l’Uomo di Kennewick appartenesse a un’antica popolazione di navigatori che sarebbero i primi colonizzatori delle Americhe, con un aspetto differente da quello dei nativi americani attuali, dato che possedevano crani più lunghi e più stretti e facce più piccole. A giudicare dalla forma del cranio e dalle ossa i parenti più prossimi viventi sarebbero una popolazione polinesiana, i Moriori delle Isole Chatham, remoto arcipelago a circa 420 miglia a sud della Nuova Zelanda
e gli Ainu del nord del Giappone.
La relazione polinesiana non implica che l’Uomo di Kennewick fosse un polinesiano, dato che quando visse gli esseri umani non avevano ancora occupato le isole del Pacifico, un evento che avvenne millenni dopo, ma che faceva parte dello stesso gruppo che in seguito si diffuse nel Pacifico dando origine ai moderni polinesiani. Altri gruppi simili, invece, erano cacciatori-raccoglitori che scelsero di andare lungo la costa settentrionale dell’Asia e che probabilmente si spinsero fino all’America iniziando a popolarla. Tra loro c’erano i popoli della Cultura Jomon, che furono i primi abitanti del Giappone, quando era ancora connesso al continente asiatico e i cui discendenti sarebbero gli Ainu, con individui con pelle chiara, folta barba e talvolta occhi chiari..
La Cultura Jomon sorse in Giappone dal 10.000 a.C. fino al 300 a.C., composta da varie popolazioni che avevano in comune vari tratti culturali tra cui la ceramica impressa (Jomon vuol dire questo in giapponese)
e l’uso di imbarcazioni di tavole di legno cucite assieme, certamente in grado di costeggiare la costa dell’antica Beringia, il ponte di terra tra Siberia e Alaska, dato che il livello del mare era assai più basso, viaggiando dal Giappone alla penisola russa della Kamchatka, all’Alaska e oltre. Isole e isolette offrivano riparo e le acque erano abbondanti di animali marini, pesci, molluschi e legno di deriva con cui accendere il fuoco. Questa via migratoria, che gli antropologi chiamano ‘Kelp Highway’ (l’autostrada del kelp, anche nota come kombu, un’alga della classe Phaeophyceae dall’importante uso commestibile nelle cucine cinese, giapponese e coreana), sarebbe debolmente visibile in tracce di DNA di certi gruppi indigeni, come alcuni membri tribali in Ecuador, ma questi primi coloni sarebbero stati diluiti da più numerose ondate migratorie successive dall’Asia e sarebbero scomparsi come popolazioni fisicamente distinte. L’Uomo di Kennewick può però riservare delle sorprese: il DNA era intatto, ma due estrazioni parzialmente completate non hanno dato risultati conclusivi. Il primo tentativo in California di estrarre il DNA dai frammenti di un osso sono falliti e il Genio militare finora non ha permesso di prendere un campione migliore, così è in corso un secondo tentativo di estrazione dai vecchi frammenti in Danimarca.
Douglas Owsley e James Chatters, sono d’accordo di non essere d’accordo sulla mancanza di rapporti tra i Paleoindiani che diedero origine agli attuali indigeni americani e la popolazione a cui apparteneva l’Uomo di Kennewick. Owsley ritiene che quando esiste un rapido cambiamento nell’aspetto di una popolazione, si deve pensare a un apporto di immigrati. Chatters, invece, crede nella teoria della popolazione ‘Human Wild Style’, cioè che i primi immigrati fossero una stirpe aggressiva, amante del rischio e delle novità, che cacciava megafauna come il mastodonte (simile al mammut) e il megaterio (bradipo gigante) in terre vuote di esseri umani, lontano dai territori di caccia ancestrali. In seguito i loro discendenti divennero sedentari, adottarono l’agricoltura e la selezione naturale favorì una personalità più gentile, uomini e donne assunsero tratti più morbidi e femminei, una tendenza verso la ‘neotenia’ (il fenomeno evolutivo per cui negli individui adulti di una specie permangono le caratteristiche morfologiche e fisiologiche tipiche delle forme giovanili) che si vedrebbe altrove nel mondo. Trovo poco convincente questa teoria, che si rifà a una teoria priva di fondamento sulla natura più ‘gentile’ dei popoli agricoltori neolitici, molto amata dalla Gimbutas negli anni 1960-1970 e altre archeologhe femministe, attente a contestare l’eccesso di testosterone nelle teorie archeologiche dell’epoca.