“L’uomo di oggi galleggia su una società liquida, scivola sulla propria pelle, non ha più anima. E rischia di morire: di bellezza, di stupidità, di potere, di denaro. Eppure non è questo l’uomo e non è questo il mondo. La gioia si cala nel mistero che portiamo nascosto dentro”.
Vi voglio parlare di questo libro appena letto che mi ha fatto riflettere molto, Vittorino Andreoli è uno spichiatra di fama mondiale, attraverso la parabola della propria vita descrive in modo severo e a volte ironico i mutamenti a cui stiamo andando incontro. Attraverso un racconto che al primo impatto potrebbe sembrare un autobiografia analizza i cambiamenti di una società malata di superficialità. Chi è l’uomo di superficie: un uomo che ha perso la capacità di sognare, un uomo senza progetti, un uomo che fa rumore perchè ha paura della solitudine, un uomo senza dei che ha reso la bellezza l’unica religione per la quale immolarsi; un uomo incapace d’amare, di insegnare ai nostri figli, e d’imparare dai nostri padri.
Descrive, in modo davvero appasionante, sempre attraverso il suo vissuto quella che era l’esigenza parsimoniosa della guerra, dove l’esigenza alimentare era la cosa primaria per il sostentamento della famiglia patriarcale, al boom economico in cui il dilagare del benessere ha portato presto all’eccesso, alla saturazione e all’inutile. Descrive una società dominata dall’esteriorità dove il rincorrere la bellezza a tutti i costi può portare un intera societa al morire; della morte si è smarrito il significato profondo. Si cerca la vita senza rendersi conto che si stà morendo nelle banalità!
Parla delle scoperte scientifiche che hanno annullato il dolore, il controllo delle nascite, alle crisi sempre uguali e allo stesso tempo diverse della Republica.
Lo scrittore non dà giudizi e non ha ricette, semplicemente da diversi spunti di riflessione a tutti coloro che con sguardo umano hanno la consapevolezza della propria fragilità che è l’unica forza per poter risorgere.
Mentre leggevo ho avuto diversi spunti di riflessione profonda legandoli anche all’esperienza di separazione che stò vivendo, vi riporto alcuni pezzi:
“Son ben consapevole che la mia vita avrebbe potuto essere differente; bastava che certe piccole cose non si fossero mostrate, che certi incontri non fossero avvenuti, sostituiti da altri analoghi, ma radicalmente diversi.
Delle mille vite possibili che consumiamo una, e non è detto che sia la migliore. La vita dell’uomo è veramente un mistero, e ciascuno di noi, proprio grazie alla plasticità del cervello e dunque alla possibilità di mutare il comportamento, ma sopratutto grazie all’enevienza di un legame d’affetto, potrebbe esere un altro… L’amore cambia la vita, ma sovente dura poco e perde i colori cangianti e puri che possedeva nella luna di miele. Un figlio cambia la vita, ma sovente la rende conflittuale.”
Altra riflessione quando parla del piacere e del dolore.
Negli anni cinquanta, anni della ressurezione del dopoguerra, in Italia arrivarono gli antibiotici e la penicillina che rivoluzionò il mondo; nel 53 nacque uno dei primi psicofarmaci, la cloropromazina, che sedava e controllava queli che venivano considerati comportamenti pericolosi caratteristici della follia. Ma la scoperta che Andreoli trova sconvolgente è quella degli antidolorifici, fino a quel momento il dolore era una presenza, quotidiana per chi soffriva e per chi gli stava vicino. Era una situazione importante perchè il dolore riportava al luogo da cui proveniva, e aiutava la diagnosi della malattia. Ora al primo accenno di dolore lo si giustizia, senza nemmeno fissarsi nella memoria (paole usate da Andreoli). Lo si cancella lo si rimuove come se non ci fosse mai stato.
Fa riflettere come sia cambiata la diagnosi d’urgenza, in quei tempi si arrivava in pronto soccorso con dolori ben localizzati e il medico poteva diagnosticare immediatamente quale potesse essere la causa; ora il paziente che arriva in pronto soccorso nella maggior parte dei casi ha già trangugiato vari analgesici e messo a tacere quel dolore che avrebbe aiutato il medico a capirne la causa.
Il nostro corpo, o meglio la nostra mente, non sopporta il ben che minimo dolore e una volta neutralizzato il dolore fisico non ci resta che la sofferenza esistenziale che non è collegata a nessun parte del corpo. Un male di vivere che sovrasta spesso le nostre giornate e appartiene all’IO, a una dimensione che coinvolge la persona intera, dentro il mondo!
Davvero siamo diventati così deboli da non sopportare più nulla? Questo pezzo mi riporta a quasi 3 anni fa quando fui operata ai legamenti del braccio sinistro e la sera dell’intervento arrivò l’infermiere con una bella iniezione di morfina, e io ben consapevole di quello che vi avevano già infilato in vena durante l’intervento dissi che non volevo nessuna iniezione… Molto dolcemente mi venne detto che il dolore legato al tipo d’intervento che avevo subito era classificato come dolore di 1°
Gli anni sessanta segnano la nascita delle prime diete. Dopo essere passati dallo stridore di denti per sedare i morsi della fame di pochi anni prima si era passati a considerare il cibo un pericolo. Nascono gli eremiti dell’apparenza che si astengono dal cibo non per penitenza ma per mantenere il peso corporeo, indicato dai modelli della bellezza televisivi.
“La vita è regolata dalla bilancia e dal colesterolo e la fame è domata nella stessa maniera in cui san Gerolamo domava il demonio, colpendosi crudamente con un sasso fino a martoriare il proprio corpo. Non è a caso che sempre in quegli anni salga la frequenza dell’anoressia…”
Altra riflessione legata a quella che Andreoli considera una vera malattia “IL GIOVANILISMO” l’atteggiamento per cui si nega la propria età anagrafica e si vive come se il tempo non fosse mai passato e non passasse mai! La società sta morendo rincorrendo questo dogma innaturale che porta l’uomo di superficie a voler fare cose che solo un ventenne potrebbe fare; rincorrere la bellezza a tutti i costi deformando ciò che Dio a plasmato!
Concludo questa recensione con una riflessioni di Andreoli che ho fatto comunque mia:
“Gli episodi cruciali della mia vita, hanno avuto su di me l’effetto di una rivoluzione, hanno cambiato il mio sentire, perhè hanno mostrato la potenza dell’impegno e della coerenza. La possibilità di trasformare la mia fragilità in forza e di gestire le debolezze, che non impediscono mai di vivere e di vivere con sucesso. Ho scoperto che la fragilità non è un difetto perchè si lega indissolubilmente alla condizione dell’uomo, ai suoi limiti, alle malattie che possono chiudere ogni prospettiva trasformando la velocità e il senso del tempo, alla morte che può giungere tra un attimo. Questo è l’uomo, questo è l’uomo fragile, l’uomo di vetro…”
Ps: mi sono unita al gruppo di lettura della biblioteca del mio paese dove ci si scambia opinioni su libri letti, e mi sembrava carico e costruttivo condividere con voi questa mia lettura che vi consiglio!